Tag: credito per le imposte estere

  • Credito per le imposte estere su servizi tecnici

    Credito per le imposte estere su servizi tecnici

    Le imprese italiane che effettuano “servizi tecnici” nei confronti di committenti esteri spesso si trovano di fronte al dilemma circa la possibilità di beneficiare o meno del credito per le imposte estere ex art. 165 del TUIR per le ritenute alla fonte operate nel paese in cui investono.

    Il tema è stato trattato da numerosi interventi di prassi e chiarito nell’ambito di alcune sentenze della Cassazione, ma presenta ancora numerosi dubbi in ragione dell’indeterminatezza del concetto dei cosiddetti servizi tecnici che non è stata oggetto di una specifica disciplina nel modello base di Convenzione OCSE (mentre la specifica previsione inserita nel modello ONU è valida per un numero molto limitato di convenzioni stipulate dall’Italia).

    Servizi Tecnici

    I compensi per servizi tecnici:

    • generalmente seguono le regole degli utili delle imprese e, quindi, se la Convenzione è conforme al modello OCSE, non sono tassati nell’altro Stato in assenza di stabile organizzazione;
    • nelle rare Convenzioni redatte seguendo il modello ONU, è possibile che si rilevi la presenza di una stabile organizzazione se i servizi tecnici sono svolti in modo continuativo nel tempo. In tal caso sono assoggettati a tassazione anche nello stato della fonte;
    • Infine, può accadere che tali servizi seguano regole proprie delle royalties.

    Credito per le imposte estere

    L’articolo 165, comma 2, del TUIR stabilisce che per determinare i redditi di fonte estera sui quali è possibile applicare il credito d’imposta per le imposte pagate nell’altro paese, si deve seguire il criterio della “lettura a specchio” dell’articolo 23. In pratica, il reddito è considerato di fonte estera nella misura in cui, se fosse prodotto in Italia da un soggetto non residente, sarebbe soggetto a tassazione in Italia.

    L’Agenzia delle Entrate, con la circolare n. 9 del 5 marzo 2015, ha distinto tra i redditi provenienti da Stati con i quali sono state stipulate Convenzioni contro le doppie imposizioni e quelli da Stati senza Convenzione.

    Nel primo caso, il credito d’imposta è garantito dalla stessa Convenzione, che disciplina in modo specifico determinate categorie di reddito.

    Nel caso di Stati senza una Convenzione, qualora un’impresa residente in Italia produca redditi in un altro Stato che non rientrano tra le categorie previste dall’art. 23 del TUIR, gli stessi non possono essere considerati di fonte estera, e quindi non è possibile applicare il credito d’imposta. In questa particolare situazione, l’imposta pagata all’estero è considerata deducibile dal reddito complessivo dell’impresa.

    Principali interventi dell’Agenzia delle Entrate

    L’Agenzia delle Entrate, in linea generale, ha mantenuto una posizione in base alla quale le ritenute subite all’estero, se non riconducibili ad una stabile organizzazione, così come configurata dalla Convenzione contro le doppie imposizioni tra l’Italia e l’altro Stato, né inquadrabili in una delle altre categorie di reddito menzionate espressamente dal trattato, non possono essere detratte dalle imposte italiane a norma dell’art. 165 del TUIR e devono, quindi, essere richieste a rimborso allo Stato estero.

    • La situazione esaminata dalla risposta ad interpello n. 23 del 01/02/2019 riguarda una società italiana che aveva prestato servizi ingegneristici per la realizzazione di un hotel nei confronti di un cliente albanese, il quale, in base alla propria norma nazionale, aveva prelevato una ritenuta a titolo d’imposta del 15%. L’Albania è legata all’Italia da una Convenzione contro le doppie imposizioni conforme al modello OCSE per quanto riguarda l’art. 5 sulla stabile organizzazione (nel quale non sono inclusi i servizi tecnici). Applicando l’art. 7 della medesima, le ritenute subite dall’impresa italiana non risulterebbero dovute, in quanto tale articolo prevede la tassazione esclusiva del reddito d’impresa nello Stato di residenza del percipiente, se questo non ha una stabile organizzazione nello Stato della fonte. Ne deriva l’impossibilità di applicare l’art. 165 del TUIR e la necessità, invece, richiedere a rimborso la stessa all’Amministrazione Finanziaria albanese.
    • Nella risoluzione n. 277/2008, avente ad oggetto le ritenute subìte da un’impresa italiana in Kazakhistan per prestazioni tecniche connesse alla realizzazione di un gasdotto senza che fosse rilevabile una struttura qualificabile come stabile organizzazione in detto paese, l’Agenzia delle Entrate aveva espresso un parere pressoché identico.
    • La risposta n. 120/2024 è relativa ad una società italiana, priva di stabile organizzazione in Tanzania, che controlla una società in detto Paese nei confronti della quale realizza prestazioni definite di “assistenza nei servizi di ingegneria di progetto …”. In base all’art. 21 della Convenzione con la Tanzania, tali compensi possono essere tassati anche nel paese della fonte e l’Agenzia delle Entrate ha riconosciuto la possibilità di detrarre questa ritenuta ai fini delle imposte italiane.
    • Nella medesima risposta di cui al punto precedente si esamina anche un’altra casistica, nella quale la stessa società italiana svolgeva a favore di una stabile organizzazione in Uganda di una società olandese e di una stabile organizzazione in Tanzania di una società UK, impegnate nella costruzione di un oleodotto, una serie di prestazioni complesse. Sulla base dell’analisi di queste prestazioni, l’Agenzia delle Entrate ha negato il beneficio del credito per le imposte estere ex art. 165 del TUIR, in quanto una parte prevalente del compenso deriverebbe da servizi di tipo industriale, logistico e di approvvigionamento, i quali non rientrano nelle definizioni di “servizi tecnici” contenute nelle Convenzioni con l’Uganda e con la Tanzania.
    • Particolare è la risposta all’interpello 118/2023, che esamina il caso di compensi pagati da un committente tunisino ad un’impresa italiana, priva di stabile organizzazione in Tunisia, per studi ingegneristici finalizzati all’ammodernamento di una raffineria. In base al Protocollo della Convenzione stipulata tra i due paesi, difforme rispetto al modello OCSE, tali servizi hanno natura di royalties, tassate anche in Tunisia con un’aliquota del 12%. L’Agenzia delle Entrate ha analizzato il contratto tra le due imprese ed ha riconosciuto la natura di servizi tecnici delle prestazioni rese e la fondatezza del prelievo alla fonte, considerato di natura definitiva, in ragione del quale è stato ammesso il beneficio del credito per le imposte estere.

    Ultima Cassazione

    La sentenza della Corte di Cassazione 1312/2025 ha riguardato il caso di una società italiana che aveva svolto prestazioni per servizi tecnici a favore di una società romena, subendo una ritenuta alla fonte del 10% sul compenso lordo, portando la stessa a riduzione delle imposte sui redditi in qualità di credito per l’imposta pagata in Romania.

    Dalla sentenza emerge che, mentre la società aveva sostenuto che i compensi avessero la qualifica convenzionale di royalties, l’Agenzia delle Entrate aveva invece ricondotto gli stessi tra gli ordinari utili d’impresa, ex art. 7 del Trattato.

    Mentre nel caso delle royalties la Romania avrebbe avuto titolo a prelevare la ritenuta e la società italiana a beneficiare del credito ex art. 165 del TUIR, nel caso di utili di impresa, in assenza di una stabile organizzazione in Romania, la tassazione avviene esclusivamente nel paese di residenza del beneficiario, l’Italia, e quest’ultimo non ha diritto a beneficiare del credito per le imposte pagate all’estero.

    In tali situazioni, come già visto in precedenza, il contribuente dovrebbe richiedere l’imposta estera a rimborso all’altro Stato, nel quale è stata prelevata senza che vi fossero i presupposti convenzionali per farlo.

    Conclusione

    Stante l’incertezza sul tema, nel caso di imprese italiane che prestano i cosiddetti “servizi tecnici” nei confronti di clienti esteri, qualora questi servizi siano assoggettati a ritenuta nello stato della fonte, potrebbe essere opportuno proporre un’istanza di interpello all’Agenzia delle Entrate per valutare la natura del servizio prestato e l’eventuale applicabilità del credito per le imposte estere.

  • Lavoro dipendente svolto all’estero: come è tassato in Italia?

    Lavoro dipendente svolto all’estero: come è tassato in Italia?

    Dopo aver introdotto quando il reddito da lavoro dipendente svolto all’estero è tassato in Italia, nel presente contributo ci si concentra sulle modalità di imposizione, con un focus particolare sulle retribuzioni convenzionali, rimandando ad uno specifico articolo per i lavoratori frontalieri.

    I redditi da lavoro dipendente di fonte estera risultano imponibili in Italia secondo tre modalità alternative:

    • regime ordinario;
    • tassazione secondo le retribuzioni convenzionali;
    • tassazione secondo il regime dei lavoratori frontalieri.

    Regime ordinario

    È la casistica più semplice, nella quale occorre rideterminare il reddito estero secondo la normativa fiscale italiana, contenuta nell’art 51 co. 1 – 8 del TUIR.

    L’imposta estera da detrarre da quella italiana ai sensi dell’art. 165 del TUIR dovrebbe essere assunta in misura piena. Il credito per le imposte pagate all’estero verrà trattato in un articolo a parte.

    Retribuzioni convenzionali

    Se il reddito da lavoro dipendente è svolto all’estero in via continuativa e come oggetto esclusivo del rapporto lavorativo, per un periodo superiore a 183 giorni nell’arco di 12 mesi, è applicabile il regime delle retribuzioni convenzionali, ex art. 51 co. 8-bis del TUIR, che consente di assumere quale base imponibile italiana non le somme e i valori effettivamente percepiti ma alcun importi determinati in modo forfetario in base al settore di attività.

    Per poter applicare le retribuzioni convenzionali devono essere rispettate una serie di condizioni:

    • il lavoratore continui a risultare fiscalmente residente in Italia ex art. 2 del TUIR;
    • il lavoro dipendente sia prestato all’estero;
    • l’attività di lavoro dipendente sia svolta all’estero in via continuativa e come oggetto esclusivo del rapporto di lavoro;
    • l’attività di lavoro dipendente sia svolta all’estero per un periodo superiore a 183 giorni nell’arco di 12 mesi.

    In merito alla continuità ed esclusività si evidenzia quanto segue:

    • che il contratto di lavoro deve prevedere la prestazione in via esclusiva del lavoro all’estero, con conseguente esclusione dei dipendenti in trasferta (C.M. 16.11.2000 n. 207/E); 
    • che la prestazione lavorativa deve materialmente essere svolta integralmente all’estero (ris. Agenzia Entrate 11.9.2007 n. 245);
    • che il regime in esame può trovare applicazione anche se il datore di lavoro è estero (circ. Agenzia Entrate 21.5.2014 n. 11);
    • che non impedisce l’applicazione del regime il fatto che la prestazione sia svolta in più Stati (consulenza giuridica DRE Emilia Romagna 13.5.2019 n. 909-4/2019).

    Qualora, invece, il lavoratore dipendente presti la propria attività lavorativa all’estero per meno di 183 giorni nell’arco di 12 mesi, la tassazione è realizzata in via ordinaria sulla base imponibile la retribuzione effettivamente corrisposta.

    Se ricorrono le condizioni per l’applicazione delle retribuzioni convenzionali, ai fini della determinazione della base imponibile relativa all’attività prestata all’estero si deve fare riferimento ai parametri definiti annualmente con apposito DM. In tal caso, il sostituto d’imposta, se presente, dovrà effettuare le ritenute sulla base delle retribuzioni convenzionali, salvo poi operare le necessarie rettifiche in sede di conguaglio, qualora vengano meno i requisiti del co. 8-bis.

    Le retribuzioni sono contenute in apposite tabelle allegate ai DM, determinate in base ai settori produttivi, in cui le retribuzioni sono fissate a seconda delle qualifiche e delle fasce retributive. Il regime non può essere applicato se l’attività svolta all’estero non rientra tra quelle previste dai DM

    Nel caso in cui le retribuzioni convenzionali dovessero superare quelle effettive, non sarebbe possibile assoggettare a tassazione il reddito effettivamente prodotto (contra C.T. Prov. Macerata 3.3.2015 n. 67/2/15).

    Nel caso in cui il reddito da lavoro dipendente svolto prodotto all’estero concorra parzialmente alla formazione del reddito complessivo, anche l’imposta estera va ridotta in misura corrispondente. Come chiarito dall’Agenzia delle Entrate nella ris. 8.7.2013 n. 48 e nella circ. 5.3.2015 n. 9, in questi casi occorre “riparametrare” l’imposta estera in base al rapporto tra la retribuzione convenzionale e la retribuzione che sarebbe stata tassabile in Italia in via ordinaria.

    Lavoratori frontalieri

    I lavoratori frontalieri possono beneficiare di disposizioni agevolative sia da parte di norme speciali interne, che prevedono un’apposita franchigia, pari a 10.000 euro di reddito, non assoggettato ad imposta, sia da parte di accordi internazionali, che riservano il beneficio della tassazione esclusiva nello Stato dove è svolta l’attività o nello Stato di residenza.

    Sono tre i requisiti di fondo per definire i frontalieri:

    • la residenza fiscale italiana del lavoratore;
    • il fatto che il lavoro sia prestato nello Stato estero in via continuativa e come oggetto esclusivo del rapporto (e non si tratti di mere attività occasionali prestate oltreconfine);
    • il fatto che il lavoro sia prestato in zone di frontiera, o in Stati limitrofi.

    Pur non essendo un requisito previsto dalla norma, l’Agenzia delle Entrate, nella circ. 15.1.2003 n. 2 prevede che il regime dei frontalieri sia riservato ai soggetti che quotidianamente si recano all’estero per svolgere la prestazione lavorativa.

    Il regime è, quindi, precluso a quei soggetti che, pur rispettando gli altri requisiti, soggiornano stabilmente nella zona di frontiera dello Stato estero dove è svolta l’attività lavorativa, ai quali, invece, possono essere applicate le retribuzioni convenzionali, qualora nel ricorrano tutti i presupposti di legge.

    Per maggiori informazioni sul lavoro dipendente svolto all’estero da parte dei frontalieri e su particolari accordi internazionali, si rimanda allo specifico contenuto.

  • Credito d’imposta sui dividendi da partnership estera

    Credito d’imposta sui dividendi da partnership estera

    Con le ultime sentenze emesse dalla Corte d Cassazione (sentenze n. 2066/2021, n. 23190/2023 e n. 28801/2024) , si sta confermando la possibilità di beneficiare del credito d’imposta estero anche in caso di omessa dichiarazione dei redditi.

    E’ interessante coordinare questo tema con quello relativo alla gestione delle partecipazioni detenute da soci italiani in società di persone residenti all’estero e ivi fiscalmente “trasparenti”, generalmente denominate partnership.

    Ai sensi della norma italiana, il reddito generato dalla Partnership è tassato in Italia solo in caso di distribuzione come “dividendo”.

    Le imposte estere pagate dal socio residente in Italia sulla quota di utili a lui spettanti sono considerate come imposte pagate dalla società e saranno scomputate, ai fini della tassazione in Italia, dall’ammontare lordo distribuito al socio stesso.

    facendo un esempio:

    • il reddito della partnership estera di spettanza del socio persona fisica fiscalmente residente in Italia è pari a 1000.000 €,
    • viene tassato anche nello stato della fonte in capo al socio stesso per 150.000 €.

    Su queste basi, l’applicazione del cosiddetto “netto frontiera” vedrà la percezione del reddito, al momento dell’effettiva distribuzione del medesimo, produrre un dividendo imponibile in Italia, assoggettato ad un’aliquota del 26%, pari a 850.000 €, senza operatività alcuna del credito d’imposta ex art. 165 del TUIR.

    Si ritiene, inoltre, che possano essere detratte dall’imposta italiana le eventuali ritenute subìte all’estero all’atto della distribuzione dell’utile.

    Molto più dubbi desta, invece,  la possibilità di ridurre il prelievo in uscita in base alla disciplina convenzionale sui dividendi (art. 10 del modello OCSE), dal momento che il § 27 del Commentario all’art. 10 evidenzia che i relativi principi non sono estensibili alle distribuzioni operate dalle società di persone “trasparenti”.

    La L. 111/2023 prevede la “razionalizzazione in materia di qualificazione fiscale interna delle entità estere, prendendo in considerazione la loro qualificazione di entità fiscalmente trasparente ovvero fiscalmente opaca operata dalla pertinente legislazione dello Stato o territorio di costituzione o di residenza fiscale”. questo significa che, quando la legge troverà attuazione, le partnership estere saranno considerate fiscalmente trasparenti anche in Italia e sarà possibile scomputare il credito per le imposte pagate all’estero dal socio.

    In ragione di queta complessa normativa e dei cambiamenti che i prospettano, è consigliabile rivolgersi a consulenti specializzati nel diritto tributario internazionale.

  • Credito d’imposta per i dividendi esteri

    Credito d’imposta per i dividendi esteri

    Il presente contenuto è un approfondimento in merito all’articolo relativo alla percezione di dividendi esteri da parte di persone fisiche non imprenditori fiscalmente residenti in Italia e si focalizza sull’applicazione del credito d’imposta in Italia.

    Giurisprudenza recente

    Dopo la sentenza della Corte di Cassazione 1.9.2022 n. 25698, anche la sentenza della C.G.T. I Siena n. 68/1/24 ha stabilito che le persone fisiche residenti in Italia possono scomputare l’imposta assolta all’estero sui dividendi dall’imposta sostitutiva italiana del 26% a norma dell’art. 165 del TUIR, andando ad arricchire la giurisprudenza su questo argomento.

    (altro…)