Tag: convenzioni contro le doppie imposizioni

  • Società di persone estere e benefici convenzionali

    Società di persone estere e benefici convenzionali

    Secondo quanto affermato nella risposta a interpello n. 17 del 12 gennaio 2022, i dividendi distribuiti da una società di capitali italiana a una società di persone estere (nello specifico una partnership trasparente costituita secondo il diritto inglese) non possono beneficiare direttamente delle agevolazioni previste dalla Convenzione contro le doppie imposizioni tra Italia e Regno Unito.

    Le motivazioni principali risiedono nella natura giuridica della società di persone estere:

    • La partnership, non essendo soggetto passivo d’imposta autonomo, non rientra tra le “persone residenti” definite dal trattato bilaterale.
    • Tuttavia, i singoli partner della partnership possono accedere ai benefici della Convenzione con riferimento alla loro quota di reddito, a condizione che siano soggetti a imposizione nel loro Stato di residenza (liable to tax) e siano i beneficiari effettivi dei dividendi.

    Lo stesso principio è stato ribadito in precedenti interpelli, come il n. 258 del 2021, dove si è chiarito che i dividendi di fonte italiana pagati a un fondo di investimento trasparente svizzero, partecipato da una fondazione svizzera esente da imposta, possono beneficiare delle riduzioni previste dall’art. 10 della Convenzione Italia-Svizzera.

    Riferimenti Normativi e Modello OCSE 2017

    Le regole relative alle partnership estere trovano una codifica specifica nell’art. 1, paragrafo 2, del modello OCSE 2017. Sebbene tale previsione non sia presente nelle Convenzioni firmate dall’Italia (fatti salvi alcuni casi particolari, come nel caso della Convenzione con gli Stati Uniti), essa si basa sui principi delineati nel Rapporto OCSE del 1999 intitolato The Application of the OECD Model Tax Convention to Partnerships. Questo rapporto è stato recepito nelle linee guida del Commentario all’art. 1 del modello OCSE, rendendolo applicabile anche ai rapporti con Stati con cui l’Italia ha stipulato una Convenzione fiscale.

    Principi Fondamentali del Modello OCSE

    • Le Convenzioni si applicano, secondo l’art. 1, paragrafo 1, del modello OCSE, alle “persone” che sono residenti di uno Stato contraente.
    • L’espressione “residente di uno Stato contraente” si riferisce, ai sensi dell’art. 4, paragrafo 1, del modello, alle persone soggette a imposizione nello Stato di residenza (liable to tax).

    Le società di persone e le partnership, pur essendo considerate “persone” secondo il Commentario all’art. 3 (§ 2), non sono considerate “residenti” ai sensi dell’art. 4, paragrafo 1, se sono entità trasparenti, ovvero non soggette a tassazione autonoma ma trasparenti rispetto ai partner.

    Trattamento Fiscale delle Partnership

    Il Commentario al modello OCSE stabilisce le seguenti regole:

    1. Partnership tassate come società di capitali: se la partnership è soggetta a tassazione autonoma, essa può essere considerata “residente di uno Stato contraente” ai fini dell’art. 4. In tal caso, la Convenzione tra lo Stato della fonte del reddito e lo Stato di residenza della partnership si applica direttamente alla partnership stessa.
    2. Partnership trattate come entità trasparenti: se la partnership è considerata trasparente ai fini fiscali, i benefici convenzionali spettano ai singoli partner. Questi ultimi, per usufruire delle agevolazioni, devono essere qualificati come “persone residenti di uno Stato contraente” ai sensi della Convenzione.

    Conclusioni

    La corretta applicazione delle Convenzioni contro le doppie imposizioni in presenza di partnership estere richiede un’analisi approfondita della natura giuridica e fiscale della partnership. Nel caso di entità trasparenti, l’attenzione si sposta sui partner, che devono soddisfare i requisiti di residenza fiscale e di effettiva imposizione per accedere ai benefici convenzionali per i quali si rimanda allo specifico articolo.

  • Dividendi di fonte italiana: applicazione ritenuta convenzionale

    Dividendi di fonte italiana: applicazione ritenuta convenzionale

    Regime Fiscale Ordinario: Applicazione della Ritenuta al 26%

    I dividendi distribuiti da società italiane a soggetti non residenti, inclusi coloro che risiedono in paesi a fiscalità privilegiata, sono assoggettati a una ritenuta fiscale del 26% sull’intero importo del dividendo, a condizione che la partecipazione non sia collegata a una stabile organizzazione situata in Italia.

    Rimborso Parziale della Ritenuta (11/26)

    L’articolo 27, comma 3, del DPR 600/73 prevede che i soggetti non residenti possano richiedere il rimborso di una parte della ritenuta applicata in Italia, fino a un massimo di 11/26. Per ottenere il rimborso, è necessario dimostrare, tramite una certificazione dell’ufficio fiscale estero competente, di aver pagato imposte definitive sugli stessi utili nel Paese di residenza.

    La richiesta di rimborso deve essere presentata al Centro Operativo di Pescara entro 48 mesi dall’applicazione della ritenuta.

    Come indicato nella Circolare Ministeriale 24 giugno 1998, n. 165/E, il contribuente non residente può scegliere il regime più vantaggioso tra il rimborso ordinario (11/26) e quello previsto da eventuali Convenzioni contro le doppie imposizioni.

    Le Convenzioni contro le doppie Imposizioni

    La normativa nazionale deve essere integrata con le regole previste dalle Convenzioni contro la doppia imposizione, basate sul modello OCSE.

    Queste Convenzioni, nella maggior parte dei casi, prevedono:

    • Il diritto dello Stato in cui ha sede la società che distribuisce i dividendi (Italia) di applicare una ritenuta fiscale, generalmente pari al 15%.
    • Un’aliquota ulteriormente ridotta (fino al 5%) per dividendi distribuiti tra società dello stesso gruppo.

    Nel caso di soci persone fisiche non residenti, la ritenuta applicata in uscita è generalmente pari al 15%.

    L’Agenzia delle Entrate, inoltre, nella risposta all’interpello n. 17 del 12 gennaio 2022, ha chiarito che una partnership estera (ad esempio britannica) non può beneficiare direttamente delle agevolazioni previste dalla Convenzione con l’Italia. Tuttavia, i partner della partnership possono accedere ai benefici convenzionali per la loro quota di reddito, a condizione che:

    • Siano soggetti a imposizione nel proprio Paese di residenza.
    • Siano i beneficiari effettivi dei dividendi.

    Come Richiedere l’Applicazione delle Convenzioni o il Rimborso

    Per beneficiare di un’aliquota ridotta prevista da una Convenzione contro la doppia imposizione, oppure per richiedere il rimborso delle ritenute eccedenti, il socio non residente deve agire preventivamente.

    La richiesta si effettua utilizzando il modello A (approvato con il provvedimento dell’Agenzia delle Entrate n. 84404 del 10 luglio 2013), che deve includere:

    • L’attestazione di residenza fiscale rilasciata dall’autorità fiscale del Paese estero.
    • La certificazione dell’autorità fiscale estera relativa alla residenza del beneficiario.

    Il modello deve essere inviato:

    • Al sostituto d’imposta italiano, per ottenere l’applicazione diretta dell’aliquota ridotta.
    • Al Centro Operativo di Pescara, per il rimborso delle ritenute eccedenti già versate.

    Per i residenti in Italia, l’attestato di residenza fiscale italiana viene rilasciato dalla Direzione Provinciale dell’Agenzia delle Entrate utilizzando il modello approvato con lo stesso provvedimento.

    Conclusioni

    La tassazione dei dividendi distribuiti a soggetti non residenti richiede un’attenta gestione della normativa nazionale e delle disposizioni previste dalle Convenzioni internazionali. Presentare in modo tempestivo e completo la documentazione necessaria consente di beneficiare delle aliquote ridotte e di evitare la doppia imposizione sui redditi percepiti.

    Per i dividendi di fonte estera, si rimanda allo specifico articolo.

  • Residenza fiscale delle società ed Esterovestizione

    Residenza fiscale delle società ed Esterovestizione

    L’esterovestizione societaria è un fenomeno frequentemente sottovalutato dagli imprenditori, i quali spesso pensano di poter costituire società in giurisdizioni con una fiscalità più vantaggiosa rispetto a quella italiana e di continuare ad amministrarle dal nostro paese.

    Residenza fiscale delle società

    Ai sensi dell’art. 73 co. 3 del TUIR, come modificato a partire dal 2024, si considerano residenti in Italia le società, incluse quelle di persone, e gli enti, come i trust, che hanno nel territorio dello Stato, per la maggior parte del periodo d’imposta, ovvero per almeno 183 o 184 giorni, alternativamente:

    • la sede legale: si identifica con la sede sociale indicata nell’atto costitutivo o nello statuto;
    • la sede di direzione effettiva: per la quale si intende “la continua e coordinata assunzione delle decisioni strategiche riguardanti la società o l’ente nel suo complesso“, mentre “non rilevano le decisioni diverse da quelle aventi contenuto di gestione assunte dai soci né le attività di supervisione e l’eventuale attività di monitoraggio della gestione da parte degli stessi“.
    • la gestione ordinaria in via principale: con cui si intende “il continuo e coordinato compimento degli atti della gestione corrente riguardanti la società o l’ente nel suo complesso“. Sul punto, la circ. Agenzia delle Entrate 20/E del 2024 ha precisato che il criterio di collegamento è “associato al luogo in cui si esplicano il normale funzionamento della società e gli adempimenti che attengono all’ordinaria amministrazione della stessa“, che i fattori di determinazione della gestione ordinaria “variano a seconda della conformazione della struttura imprenditoriale, dell’attività caratteristica, nonché della organizzazione del complesso aziendale della società o dell’ente” e che la gestione “deve riguardare l’impresa nel suo complesso, con l’intento di distinguere lo Stato di residenza della persona giuridica dal luogo di collocamento della stabile organizzazione“.

    Convenzioni contro le doppie imposizioni e doppia residenza

    Nel caso in cui una società sia considerata fiscalmente residente da due diversi Paesi sulla base delle rispettive norme nazionali, si applica l’art. 4 par. 3 del Modello di Convenzione OCSE contro le doppie imposizioni.

    Nel modello risultante a seguito dell’aggiornamento del 2017 viene rimessa la risoluzione dei casi di doppia residenza delle società al comune accordo delle competenti autorità degli Stati contraenti, tenendo conto della sua sede di direzione effettiva, del luogo in cui è costituita o altrimenti costituita e di qualsiasi altro fattore rilevante.

    Tuttavia, la maggior parte delle Convenzioni stipulate dall’Italia (facenti riferimento alla precedente versione del 2014) danno, invece, prevalenza al solo criterio della sede di direzione effettiva.

    Esterovestizione

    L’art. 73 co. 3, 5-bis e 5-ter del TUIR individua una presunzione legale relativa di residenza nel territorio dello Stato dei trust e delle società o enti esterovestiti.

    In particolare, il co. 5-bis dell’art. 73 del contiene la presunzione legale relativa di residenza in Italia delle società ed enti che detengono partecipazioni di controllo in società ed enti, se, in alternativa:

    • sono, a loro volta, controllati, ai sensi dell’art. 2359 del Codice Civile, anche indirettamente, da soggetti residenti nel territorio italiano;
    • ovvero sono amministrati da un consiglio di amministrazione o altro organo di gestione, composto in prevalenza da soggetti residenti in Italia.

    Come indicato nella circ. Agenzia delle Entrate 28/E del 2006, la presunzione di esterovestizione e si applica anche nel caso in cui si interpongano nella catena di controllo più sub holding estere. In merito all’ipotesi legata alla residenza degli amministratori, invece, la circ. Agenzia delle Entrate 11/E del 2007 prevede che:

    • la società sarà considerata fiscalmente residente qualora, per la maggior parte del periodo d’imposta, risulti amministrata da consiglieri residenti in Italia;
    • la residenza degli amministratori della società deve essere stabilita sulla base dei criteri previsti dall’art. 2 del TUIR.

    Il co. 5-bis dell’art. 73 del TUIR, in caso di esterovestizione, prevede l’inversione a carico del contribuente dell’onere della prova.
    Per superare tale presunzione, la società dovrà, pertanto, dimostrare “con argomenti adeguati e convincenti” che “esistono elementi di fatto, situazioni od atti, idonei a dimostrare un concreto radicamento della direzione effettiva nello Stato estero

    Giurisprudenza di merito

    Esempio di giurisprudenza di merito è la Cass. n. 43809 del 2015, in base alla quale non si può considerare esterovestita la controllata estera dotata di una propria struttura, anche se minima, che le consente di svolgere l’attività prevista dallo Statuto sociale. L’accertamento dell’esterovestizione riguarda, infatti, le sole società “schermo” (o “caselle postali”) che si caratterizzano quali costruzioni di puro artificio, costituite nello Stato estero al solo fine di beneficiare di regimi fiscali più favorevoli.
    La C.T. Prov. Como n. 91/1/13 ha stabilito che non sussiste ila fattispecie di esterovestizione ove la società presenti all’estero stabilimenti, uffici, personale dipendente, organismi direttivi, sedi di decisioni strategiche, autonomie operative, profitti, interessi ed attività sovranazionali. La residenza fiscale in Italia di un soggetto estero deve, infatti, basarsi su un’analisi complessiva della situazione di fatto e non deve essere limitata ad una valutazione acritica fondata sulle presunzioni normative.

    Effetti

    Qualora il contribuente non riuscisse a dimostrare che la sede di direzione effettiva della società non è in Italia, i redditi conseguiti dal soggetto “esterovestito” saranno, pertanto, assoggettati a tassazione in Italia.

    Si può portare ad esempio, il caso di molti imprenditori digitali che operano dall’Italia attraverso società costituite off-shore, come le LLC statunitensi, ma la cui gestione ed amministrazione avviene in Italia. In questi casi, qualora oggetto di accertamento, tali società verrebbero considerate fiscalmente residenti nel nostro paese ed ivi assoggettate a tassazione.