Categoria: Protezione patrimoniale

  • Passaggio generazionale nelle imprese – aspetti fiscali

    Passaggio generazionale nelle imprese – aspetti fiscali

    Un tema di particolare interesse nella vita delle imprese, in particolare per quelle di famiglia, è il passaggio generazionale.

    Nella normativa italiana è presente una disposizione fiscale volta ad agevolare il passaggio generazionale di aziende e partecipazioni in imprese di famiglia.

    Tra gli strumenti che consentono di ottenere questo risultato, nel presente contenuto ci si focalizza brevemente sull’applicazione di detta normativa relativamente agli istituti della donazione di azienda (o di partecipazioni) e del patto di famiglia, rimandando ad apposito articolo per quanto riguarda l’utilizzo del trust.

    Donazione d’azienda e patto di famiglia

    Nell’ambito del passaggio generazionale delle imprese, mentre il concetto di donazione è (o do dovrebbe) essere chiaro a tutti, meno noto (almeno per i non addetti ai lavori) è l’istituto del patto di famiglia.

    Mediante il patto di famiglia l’imprenditore o il titolare di partecipazioni trasferisce l’azienda o le partecipazioni ad uno o più discendenti ritenuti idonei alla guida dell’impresa di famiglia con contestuale compensazione degli eredi non assegnatari dell’azienda.

    Il beneficiario di una donazione d’azienda può essere qualunque soggetto, anche se le agevolazioni fiscali si realizzano solo in capo al coniuge o ai discendenti, mentre l’assegnatario dell’azienda nell’ambito del patto di famiglia potrà essere solo un “discendente” dell’imprenditore, quindi suo figlio o suo nipote. È escluso il coniuge.

    Il contratto del patto di famiglia:

    • rappresenta una deroga al divieto dei patti successori, in forza del quale sarebbe preclusa la possibilità di trasferire le partecipazioni;
    • permette di realizzare un’attribuzione stabile e definitiva, sottratta alla disciplina in materia di riduzione e non assoggettabile a future contestazioni;
    • mantiene la stabilità del trasferimento, la quale è garantita anche in caso di sopravvenienza di nuovi legittimari;
    • consente di attribuire convenzionalmente un valore alle partecipazioni, cristallizzandole a quella data senza più ridiscuterne in futuro;
    • consente di ritornare sui propri passi, recedendo dal contratto e ripristinando la situazione di partenza.

    Esenzione dall’imposta di donazione nel passaggio generazione delle imprese

    Come regola generale, la donazione di azienda o di partecipazioni effettuata a favore di soggetti diversi dal coniuge o dal discendente del donante, è assoggettata a imposta sulle donazioni con le aliquote e le franchigie ordinarie.

    Qualora la donazione venga realizzata in favore del coniuge o del discendente del donante, si possono verificare due situazioni:

    • se non sussistono le condizioni di esenzione individuate dall’art. 3 co. 4-ter del DLgs. 346/90, è soggetta ad imposta sulle donazioni con le aliquote e le franchigie ordinarie;
    • se, invece, sussistono dette condizioni, è esente da imposta sulle donazioni.

    L’art. 3 co. 4-ter del DLgs. 346/90, riformulato dal DLgs. 139/2024, prevede un’esenzione per i trasferimenti, realizzati tramite donazione o patto di famiglia di aziende, quote sociali e azioni, che consente di azzerare l’imposizione in presenza di determinate condizioni, se le partecipazioni o l’azienda vengono trasferite al coniuge (in caso di donazione) o ai discendenti (in entrambi i casi).

    Inoltre, in base a quanto riportato nella risposta AdE 571/2021, le partecipazioni che abbiano goduto dell’esenzione dall’imposta di donazione ex art. 3 co. 4-ter del DLgs. 346/90 non rientrano nel computo del coacervo delle donazioni che il medesimo donatario riceva dal medesimo donante.

    Trasferimenti di Aziende

    L’esenzione fa riferimento al trasferimento di aziende o rami d’azienda ex art. 2555 c.c.

    Partecipazioni Societarie

    L’esenzione si applica anche a:

    • Società di persone: senza condizioni aggiuntive, se il trasferimento avviene per successione, donazione o strumenti similari.
    • Società di capitali: solo se il trasferimento garantisce il controllo ai sensi dell’art. 2359, primo comma, n. 1) c.c.

    Condizione del Controllo

    L’esenzione è concessa se il beneficiario ottiene o integra il controllo sociale, definito come il possesso della maggioranza dei voti in assemblea. Le casistiche coperte includono:

    1. Acquisizione ex novo del controllo (es. erede non socio che riceve il 51% di una società).
    2. Integrazione del controllo sommando le nuove partecipazioni a quelle già possedute.
    3. Rafforzamento del controllo già detenuto con ulteriori quote ricevute.

    Secondo la Cassazione n. 6591/2021, nel caso in cui, per mezzo di un patto di famiglia, il titolare di un’azienda trasferisca le quote di maggioranza di una società di capitali, pari al 75%, suddividendole in parti uguali tra i suoi tre figli, che ottengono il 25% ciascuno, non sussistono le condizioni per l’applicazione dell’esenzione, neppure se i medesimi, il giorno successivo alla stipula del patto di famiglia, siglano un patto parasociale in cui si impegnano ad assumere qualsiasi decisione relativa all’ordinaria o straordinaria amministrazione e qualsiasi decisione all’unanimità.

    Acquisto in Comunione

    • Se la quota di controllo viene suddivisa tra più eredi, l’agevolazione si applica solo se uno di loro acquisisce individualmente il controllo.
    • Se la quota è trasferita in comproprietà tra più discendenti, l’agevolazione spetta a tutti.

    Quote di Società Non Residenti

    Confermando i precedenti orientamenti giurisprudenziali, la riforma ha esteso l’esenzione anche ai trasferimenti di quote di società estere, purché situate in Paesi dell’UE, dello Spazio Economico Europeo o in Paesi con adeguato scambio di informazioni.

    Condizioni agevolative e periodo di osservazione quinquennale

    L’esenzione impositivo per il passaggio generazionale delle imprese prevista dall’art. 3 co. 4-ter del DLgs. 346/90 è subordinata, oltre ai presupposti oggettivi e soggettivi, al rispetto di un periodo di osservazione quinquennale, durante il quale il beneficiario deve mantenere determinati comportamenti. Il DLgs. 139/2024 ha precisato gli obblighi per le tre tipologie di trasferimento agevolabili:

    • Azienda o rami d’azienda: l’attività d’impresa deve proseguire per almeno 5 anni dal trasferimento.
    • Quote di controllo di società di capitali: il controllo deve essere mantenuto per almeno 5 anni.
    • Altre quote sociali: il diritto sulle quote deve essere detenuto per almeno 5 anni.

    Per quanto riguarda le società di persone, il beneficiario deve conservare la titolarità delle quote per 5 anni, indipendentemente dal controllo.

    Caso particolare le società “senza impresa”

    Resta aperto il dibattito circa l’applicabilità dell’esenzione ai trasferimenti di quote di società senza attività imprenditoriale, come holding pure e società immobiliari. Prima della riforma, dottrina e giurisprudenza tendevano ad escludere l’esenzione in tali casi, in quanto la ratio del beneficio è agevolare il passaggio generazionale dell’impresa.

    • Società immobiliari: la Cassazione (sentenza n. 6082/2023) ha escluso l’esenzione, ritenendo che il trasferimento di una partecipazione immobiliare non sia assimilabile al trasferimento d’impresa.
    • Holding pure: l’Agenzia delle Entrate (interpello n. 552/2021) ha negato il beneficio se la holding detiene solo quote di minoranza di una società operativa.
    • Società semplice: la questione rimane controversa, con posizioni dottrinali contrastanti.

    Dichiarazione e decadenza dal beneficio

    L’impegno a mantenere l’azienda per 5 anni deve essere dichiarato dagli aventi causa nell’atto di donazione o nel patto di famiglia. Il mancato rispetto delle condizioni comporta la decadenza dall’agevolazione, con obbligo di versare:

    • l’imposta di donazione in misura ordinaria;
    • la sanzione amministrativa del 25% ex art. 13 del DLgs. 471/97;
    • gli interessi di mora.

    Secondo la risposta Agenzia delle Entrate 231/2019, la cessione della sola nuda proprietà dell’azienda ricevuta non comporta la decadenza dal beneficio. Questo accade in quanto l’usufruttuario ne mantiene la gestione.

    Compensazioni nel patto di famiglia

    Specificatamente al solo patto di famiglia, ai sensi dell’art. 768-quater c.c., il beneficiario che ottiene l’azienda o le partecipazioni societarie è tenuto a “liquidare gli altri partecipanti al contratto, ove questi non vi rinunzino in tutto o in parte, con il pagamento di una somma corrispondente al valore delle quote” di legittima loro spettanti.

    Tali compensazioni possono essere previste anche dallo stesso contratto di patto di famiglia e, in questa situazione, potrebbe essere lo stesso disponente ad effettuarle.

    Il trattamento fiscale delle compensazioni è stato analizzato da numerosi documenti di prassi, tra cui le circolari n. 3/2008 e n. 18/2013 e la risoluzione n. 12/2025 ed è tato oggetto di varie sentenze della Cassazione, tra le quali spiccano la 29506/2020, la. 19561/2022 e la 19627/2024).

    Tali interventi sono giunti alla conclusione che;

    • l’esenzione si applica, nell’ambito del patto di famiglia, esclusivamente con riferimento al trasferimento effettuato dal disponente al beneficiario dell’azienda o delle quote di partecipazione;
    • le compensazioni sono soggette all’imposta sulle donazioni, le cui aliquote e franchigie si determinano in relazione al rapporto di parentela intercorrente tra disponente e legittimario non assegnatario dell’azienda.
  • Donazioni di denaro dall’estero: conseguenze fiscali in Italia

    Donazioni di denaro dall’estero: conseguenze fiscali in Italia

    Le donazioni di denaro provenienti dall’estero a favore di soggetti residenti in Italia sollevano diverse questioni di natura fiscale, in particolare per quanto riguarda l’applicabilità dell’imposta sulle donazioni prevista dal D.Lgs. 346/90.

    Non è infrequente il caso di famiglie i cui membri risiedono in Paesi diversi, in tali situazioni è necessario valutare le conseguenze derivanti dall’effettuazione di donazioni cross-border.

    La disciplina fiscale italiana si fonda sul principio della territorialità, che stabilisce l’imponibilità in base alla residenza del donante e al luogo in cui si trovano i beni oggetto di trasferimento.

    Il principio di territorialità ai sensi dell’art. 2 del D.Lgs. 346/90

    L’art. 2 del D.Lgs. 346/90 disciplina la territorialità dell’imposta sulle successioni e donazioni, prevedendo due ipotesi principali:

    • Donante residente in Italia: l’imposta si applica a tutti i beni e diritti trasferiti, indipendentemente dal luogo in cui essi si trovano;
    • Donante non residente: l’imposta si applica solo ai beni esistenti nel territorio dello Stato.

    Donazioni di denaro dall’estero a favore di residenti in Italia

    In base a quanto chiarito dall’Agenzia delle Entrate nella risposta all’interpello n. 310 /2019, la donazione di denaro effettuata da un donante non residente a favore di un beneficiario residente in Italia non è soggetta a imposizione se il denaro proviene da un conto estero e non risulta “esistente” nel territorio dello Stato al momento della donazione.

    A conferma di questo principio si richiamano anche le pronunce della Corte di Cassazione:

    • Cass. 24 marzo 2021 n. 8175: il denaro donato tramite bonifico da un conto estero non è rilevante ai fini dell’imposta di donazione poiché si considera esistente fuori dal territorio italiano;
    • Cass. 30 marzo 2021 n. 8720: ribadisce l’irrilevanza fiscale della donazione di somme di denaro provenienti da conti esteri, in linea con i principi di territorialità sanciti dal D.Lgs. 346/90;
    • Cass. 12 aprile 2023 n. 9780: conferma che il criterio determinante per l’applicabilità dell’imposta è il luogo in cui è detenuto il denaro prima del trasferimento.

    Chiarimenti interpretativi recenti

    Un ulteriore chiarimento è stato fornito dall’Agenzia delle Entrate nella risposta all’interpello n. 7/2024, in cui si afferma che il bonifico da un conto corrente estero a un conto corrente italiano non comporta l’applicazione dell’imposta di donazione, purché il denaro sia stato depositato su un conto estero prima della donazione.

    Questo principio è stato applicato anche nel caso specifico di una donazione effettuata da una cittadina svizzera a favore di un residente italiano per l’acquisto di un immobile in Italia. Nonostante il trasferimento avvenga a beneficio di un soggetto residente e il denaro venga utilizzato in Italia, l’irrilevanza fiscale è confermata dall’assenza del presupposto territoriale.

    Obblighi di monitoraggio fiscale (quadro RW)

    Pur in assenza di imposizione fiscale, il beneficiario residente in Italia è tenuto a dichiarare l’esistenza del conto estero e le relative giacenze nel quadro RW della dichiarazione dei redditi, ai sensi del D.L. 167/1990.

    I trasferimenti superiori a 5.000 euro da o verso l’estero devono essere comunicati dagli intermediari finanziari all’Agenzia delle Entrate, come previsto dall’art. 1 comma 1 del D.L. 167/1990, da ciò deriva l’opportunità di formalizzare la donazione.

    Formalizzazione delle donazioni di denaro dall’estero

    Per evitare contestazioni, è opportuno formalizzare la donazione di denaro dall’estero mediante un atto scritto, anche se non richiesto dalla normativa estera. La mancanza di un atto formale potrebbe infatti generare dubbi sulla provenienza delle somme e comportare l’attivazione di controlli antiriciclaggio da parte dell’istituto bancario italiano.

    In caso di donazioni non formalizzate, è possibile procedere successivamente alla redazione di un atto notarile di ricognizione della liberalità, al fine di fornire adeguata documentazione a supporto della natura gratuita del trasferimento.

    Rischi di doppia imposizione

    Se in una donazione si riscontra una situazione di doppia residenza del donante, risulta complesso invocare un rimedio convenzionale per risolvere il conflitto. Tra le sette convenzioni sottoscritte dall’Italia in materia di imposta sulle successioni, solo quella con la Francia si estende anche alle donazioni.

    Anche qualora non vi fossero incertezze sulla residenza fiscale italiana del donante, ma il beneficiario fosse considerato non residente, è essenziale esaminare la normativa fiscale vigente nello Stato estero coinvolto.

    In alcuni Paesi, infatti, una donazione può essere soggetta a imposizione fiscale anche se riguarda beni situati all’estero, qualora il beneficiario sia residente. Questo è, ad esempio, il caso della Francia e della Germania. Di conseguenza, una donazione diretta di denaro a favore di un soggetto non residente può essere rilevante sia in Italia (in virtù della residenza del donante, con il donatario non residente come soggetto obbligato) sia nel Paese di residenza del beneficiario.

    In tali circostanze, eventuali situazioni di doppia imposizione fiscale dovrebbero essere risolte principalmente attraverso le disposizioni previste dalle normative tributarie nazionali di ciascun Paese.

    Considerazioni finali

    L’attuale interpretazione normativa, corroborata dalla giurisprudenza di legittimità e dai chiarimenti dell’Agenzia delle Entrate, esclude l’applicazione dell’imposta sulle donazioni per i trasferimenti di denaro effettuati da conti esteri a favore di soggetti residenti in Italia, se il donante è non residente. Tuttavia, resta fondamentale procedere con attenzione, adottando le necessarie cautele documentali e monitorando gli obblighi fiscali connessi al trasferimento di fondi dall’estero.

    In attesa di eventuali interventi legislativi in materia, è consigliabile una verifica preliminare degli effetti fiscali di qualsiasi trasferimento inter vivos a titolo gratuito che coinvolga elementi di internazionalità.

    Si rimanda all’apposito articolo per le implicazioni in tema di donazioni transfrontaliere per i soggetti che beneficiano del regime dei neo domiciliati.

  • Conferimento a realizzo controllato e abuso del diritto

    Conferimento a realizzo controllato e abuso del diritto

    Oggetto dell’articolo è il caso concreto della riorganizzazione di un gruppo familiare attraverso un conferimento a realizzo controllato e dei possibili profili di abuso del diritto dell’operazione.

    In base alla risposta all’interpello n. 169/2024, non è considerata abusiva ai sensi dell’art. 10-bis della L. 212/2000 l’operazione mediante la quale due soci costituiscono distinte holding unipersonali applicando il regime di realizzo controllato ex art. 177 co. 2-bis del TUIR e acquistano la partecipazione di un terzo socio, già oggetto di rivalutazione, utilizzando risorse derivanti da un finanziamento bancario, purché il socio cedente abbandoni definitivamente la compagine sociale e non assuma più incarichi, nemmeno in qualità di amministratore.

    Conferimento di partecipazioni qualificate

    Ai sensi dell’art. 177 co. 2-bis del TUIR, se la società conferitaria non ottiene il controllo ai sensi dell’art. 2359 n. 1 c.c. né aumenta la quota di partecipazione, il regime del realizzo controllato si applica quando si verificano congiuntamente le seguenti condizioni:

    • Le partecipazioni conferite rappresentano complessivamente una percentuale di diritti di voto esercitabili in assemblea superiore al 2% o al 20%, oppure una quota di capitale o patrimonio superiore al 5% o al 25%, a seconda che si tratti di titoli quotati o non quotati.
    • Le partecipazioni devono essere conferite a società, esistenti o di nuova costituzione, interamente possedute dal conferente o dal conferente con i suoi familiari di cui all’art. 5 co. 5 del TUIR, se il conferente è una persona fisica (l’inclusione dei familiari è stata introdotta dal D.Lgs. 192/2024 e si applica alle operazioni effettuate dal 31.12.2024 in poi).

    L’ambito soggettivo dell’art. 177 co. 2-bis del TUIR prevede che:

    • I soggetti conferenti possano essere persone fisiche, società o enti, indipendentemente dall’esercizio di attività d’impresa e dalla residenza.
    • La società conferitaria debba essere una società di capitali residente interamente partecipata dal conferente.
    • La società le cui partecipazioni sono oggetto di conferimento debba essere una società di capitali residente.

    Rivalutazione delle partecipazioni

    La rideterminazione del costo o valore di acquisto delle partecipazioni, mediante il versamento di un’imposta sostitutiva del 18%, è riservata ai soggetti che realizzano redditi diversi ai sensi dell’art. 67 co. 1 lett. c) e c-bis) del TUIR.

    Secondo la circolare dell’Agenzia delle Entrate 31.1.2002 n. 12, possono beneficiare di questa disposizione:

    • Le persone fisiche per le operazioni estranee all’attività d’impresa.
    • Le società semplici e i soggetti assimilati ai sensi dell’art. 5 del TUIR.
    • Gli enti non commerciali, purché l’operazione non avvenga nell’esercizio di attività d’impresa.
    • I soggetti non residenti per le plusvalenze derivanti dalla cessione di partecipazioni in società residenti in Italia, salvo disposizioni contrarie nelle Convenzioni contro le doppie imposizioni.

    Un esempio concreto

    La risposta menzionata analizza una complessa operazione di riorganizzazione della struttura partecipativa di una s.r.l., partecipata da tre membri della stessa famiglia, volta a permettere l’uscita di uno di essi a causa di disaccordi con gli altri due.

    Il progetto di riorganizzazione prevede un doppio conferimento, in regime di realizzo controllato ex art. 177, co. 2-bis del TUIR, mediante il quale i due soci acquirenti costituiscono due holding unipersonali, conferendo le proprie quote della società di famiglia. Queste holding, utilizzando un finanziamento bancario, acquistano proporzionalmente la partecipazione del socio uscente, che aveva precedentemente rivalutato la quota.

    Dopo l’acquisizione, le holding cessionarie estinguono il finanziamento in un’unica soluzione, utilizzando i proventi di un dividendo straordinario erogato dalla s.r.l.

    Entro 12 mesi dalla conclusione della riorganizzazione, ciascun socio delle holding procederà al passaggio generazionale in favore dei propri discendenti.

    L’Agenzia delle Entrate ha ritenuto che l’intera operazione non generi un vantaggio fiscale indebito, in particolare con riferimento alla rivalutazione della quota seguita dalla cessione alle holding riconducibili agli altri soci. Tale configurazione di recesso atipico, che consente al socio uscente di qualificare il provento come reddito diverso e di applicare l’opzione per la rivalutazione, è ritenuta legittima purché l’uscita dalla società e dagli organi amministrativi sia totale e definitiva.

    Un elemento rilevante per evitare la riqualificazione in un recesso tipico è che i fondi per l’acquisto derivino da un finanziamento bancario anziché da risorse della società target, anche se successivamente il prestito viene rimborsato tramite un dividendo straordinario.

    Ultimo elemento, di non secondaria importanza è quello relativo alla deducibilità degli interessi passivi sui finanziamenti contratti dalle holding per l’acquisto delle partecipazioni, che non è considerata un vantaggio fiscale indebito ai fini delle imposte sui redditi.

  • La residenza fiscale del Trust

    La residenza fiscale del Trust

    In questo contributo si offre una panoramica circa la residenza fiscale del trust, i quali sono assimilati ai soggetti passivi IRES.

    In base a quanto disposto dall’art. 73 co. 3 – 5 del TUIR a seguito delle modifiche introdotte dal DLgs. 209/2023, un trust è considerato fiscalmente residente, qualora, per la maggior parte del periodo di imposta, che equivale a 183 o 184 giorni, abbia in Italia:

    • la sede legale,
    • la sede di direzione effettiva: ovvero il luogo in cui il trustee esercita abitualmente la sua attività strategica e adotta le decisioni di maggior rilievo relative al trust
    • la gestione ordinaria: da intendersi come “il continuo e coordinato compimento degli atti della gestione corrente riguardanti la società o l’ente nel suo complesso” in via principale. 

    Oggetto principale ante modifiche DLgs. 209/2023

    Anteriormente alle modifiche introdotte dal DLgs. 209/2023, quindi fino al 31/12/2023, l’ultimo criterio di individuazione della residenza fiscale del trust era quello dell’oggetto principale, considerato dall’Agenzia delle Entrate come strettamente connesso alla tipologia di trust adottata.

    Quando, ad esempio, l’oggetto del trust era costituito da un patrimonio immobiliare interamente situato in Italia, il medesimo veniva considerato fiscalmente residente nel nostro paese in virtù dell’oggetto sociale. Nel caso in cui, invece, i beni fossero situati in più Paesi si era necessario ricorrere al criterio di prevalenza.

    Residenza fiscale post modiche DLgs. 209/2023

    Tale criterio, superato a partire dal 2024, è sempre valido in caso di accertamenti facenti riferimento alle annualità antecedenti la modifica legislativa.

    L’Art. 73 co. 3 del TUIR, ammessa la prova contraria, prevede poi due casi di attrazione in Italia della residenza fiscale del trust istituito in Stati o territori non appartenenti alla white list (diversi da quelli di cui al DM 4.9.96 e successive modificazioni emanato ai sensi dell’art. 11 co. 4 lett. c) del DLgs. 239/1996:

    • almeno uno dei disponenti ed almeno uno dei beneficiari del trust siano fiscalmente residenti nel territorio dello Stato;
    • successivamente alla loro costituzione, un soggetto residente nel territorio dello Stato effettui in favore del trust un’attribuzione che importi il trasferimento di proprietà di beni immobili o la costituzione o il trasferimento di diritti reali immobiliari, anche per quote, o vincoli di destinazione sugli stessi beni.

    Infine, come chiarito dalla circ. 48/E del 2007, le disposizioni in materia di esterovestizione delle società di cui all’art. 73 co. 5-bis e 5-ter del TUIR sono applicabili anche ai trust, nella misura in cui siano compatibili.