Categoria: Fiscalità internazionale

  • Tassazione stock option

    Tassazione stock option

    Uno dei temi più dibattuti, soprattutto nell’ambito della mobilità internazionale di manager e dipendenti, riguarda la tassazione delle stock option.

    Definizione di stock option

    I piani di stock option conferiscono generalmente a dipendenti e amministratori il diritto di acquistare, dopo un periodo prestabilito, un certo numero di azioni a un prezzo predefinito.

    Questo diritto nasce dalla stipula di un accordo tra l’azienda e il lavoratore, in cui viene stabilito che, trascorso un determinato periodo, il lavoratore può convertire le opzioni ricevute in azioni della società (Risoluzione n. 29/E/2001 dell’Agenzia delle Entrate).

    Si tratta, quindi, di un diritto che consente di acquistare azioni della società in una data futura a un prezzo stabilito in anticipo.

    Le fasi principali del piano di stock option sono:

    • grant date: la data in cui viene concesso il diritto di opzione;
    • vesting date: il momento in cui il lavoratore può esercitare il diritto;
    • exercise date: la data effettiva di esercizio dell’opzione;
    • expiration date: il termine entro cui l’opzione deve essere esercitata.

    Trattamento fiscale

    Le stock option costituiscono una forma di retribuzione aggiuntiva per il lavoratore dipendente e, di conseguenza, sono assimilate ai fringe benefit e soggette a tassazione IRPEF, calcolata sulla differenza tra il valore normale e il prezzo di assegnazione.

    Ulteriori implicazioni fiscali si verificano nel caso di incasso di dividendi sulle azioni o di successiva vendita delle stesse

    Normativa fiscale internazionale

    Il regime fiscale internazionale delle stock option è regolato dal Modello OCSE di Convenzione contro le doppie imposizioni, che distingue due fasi:

    • vesting period: durante l’assegnazione degli strumenti finanziari e per tutto il periodo in cui non è possibile disporne liberamente, essi sono trattati come fringe benefit;
    • esercizio dell’opzione: una volta esercitato il diritto, si applica l’art. 13 della Convenzione, che considera il dipendente come azionista, con conseguente tassazione delle plusvalenze derivanti dalla crescita del valore del titolo o dalla sua cessione.

    Il Commentario OCSE all’art. 15 del Modello di Convenzione esamina, inoltre, aspetti legati alla mobilità internazionale dei lavoratori e all’impatto fiscale sulle stock option maturate durante periodi di residenza in diversi paesi.

    Secondo il Modello OCSE, la tassazione di questi strumenti finanziari avviene nel paese di residenza fiscale del soggetto alienante. Gli obblighi dichiarativi riguardano tre aspetti principali:

    • il reddito da lavoro dipendente derivante dall’assegnazione o dall’esercizio delle azioni;
    • i dividendi percepiti sulle azioni assegnate;
    • le plusvalenze derivanti dalla cessione delle azioni.

    Regime fiscale in Italia

    In Italia, i redditi da lavoro dipendente derivanti dall’assegnazione di azioni sono considerati compensi in natura e valutati secondo l’art. 51 co. 3 del TUIR, basandosi sul “valore normale”.

    Il reddito imponibile da lavoro dipendente è dato dalla differenza tra:

    • il “valore normale” delle azioni assegnate, come previsto dall’art. 9 del TUIR;
    • il prezzo pagato al momento dell’esercizio dell’opzione.

    Secondo la circolare 54/2008 dell’Agenzia delle Entrate, se il prezzo pagato è inferiore al valore normale del titolo, il lavoratore deve assoggettare la differenza a tassazione come reddito da lavoro dipendente.

    L’imponibilità si concretizza nel momento in cui le azioni vengono assegnate al dipendente, corrispondente alla data di esercizio dell’opzione (exercise date), indipendentemente dalla successiva emissione o consegna del titolo (circ. 09/09/2008 n. 54; risposta interpello 05/02/2020 n. 23).

    L’azienda erogante funge da sostituto d’imposta, applicando una ritenuta IRPEF a titolo di acconto, calcolata con aliquote progressive. Per le azioni non quotate, la valutazione si basa su perizia della società, mentre per quelle quotate si utilizza la media delle quotazioni dell’ultimo mese (art. 9 co. 4, lett. a, del TUIR).

    La tassazione avviene quindi in due momenti distinti:

    • al momento dell’esercizio, con aliquote IRPEF tra il 23% e il 43%, oltre alle addizionali;
    • eventualmente, al momento della vendita delle azioni, con un’imposta sul capital gain del 26%.

    L’eventuale plusvalenza è calcolata sulla differenza tra il prezzo di vendita e il prezzo di acquisto. Se la differenza tra valore delle azioni ed esercizio è già stata tassata come reddito da lavoro dipendente, tale valore diventa il prezzo di acquisto ai fini della tassazione del capital gain.

    Cessione di partecipazioni

    In caso di vendita, può generarsi una plusvalenza o una minusvalenza. Il reddito è determinato come differenza tra il corrispettivo percepito e il costo di acquisto assoggettato a tassazione. Le plusvalenze rientrano nei redditi diversi (art. 67 del TUIR) e sono tassate con aliquota del 26%.

    Dividendi

    Gli utili percepiti dai dipendenti come azionisti sono considerati redditi di capitale (art. 44 co. 1 lett. e del TUIR) e tassati al 26%, salvo diversa disciplina per utili provenienti da paesi a fiscalità privilegiata.

    Esempio di attribuzione al lavoratore

    Si supponga che la società A deliberi, in data 01/01/2020, un piano di stock option attraverso il quale intenda attribuire al lavoratore Tizio opzioni relative a 10.000 azioni, al prezzo di 2 euro ciascuna (valore totale 10.000 x 2 = 20.000 euro), esercitabili non prima del 30/06/2025.

    Scaduto il termine, ad esempio il 02/07/2025, Tizio decide di esercitare l’opzione e, siccome i titoli, in quella data, risultano avere un valore pari a 3 euro, realizza un maggior valore di 10.000 euro, importo che concorre a formare reddito imponibile da lavoro dipendente.

    Stock option e regime forfettario

    In caso di assegnazione di azioni a beneficio di un lavoratore in regime forfetario, concorre alla formazione del reddito soggetto ad imposta sostitutiva del 15% il valore normale delle azioni determinato ai sensi dell’art. 9 co. 4 del TUIR. Tale valore concorre alla formazione del reddito nell’esercizio di assegnazione e rileva ai fini del computo della soglia dei 85.000 euro per la permanenza nel regime.

    L’Agenzia delle Entrate, con la risposta ad interpello 18/05/2022 n. 271, ha chiarito che non assume rilevanza, invece, quanto versato dall’imprenditore a titolo di strike price per l’acquisto delle azioni in quanto all’ammontare del valore normale sarà applicato il coefficiente di redditività ordinariamente previsto per l’attività esercitata.

    Stock option e regime degli impatriati

    Le stock option spesso maturano in più anni e vengono erogate successivamente, rendendo cruciale valutare lo status fiscale del percettore e il Paese in cui è stata svolta l’attività lavorativa. L’Agenzia delle Entrate, richiamando il principio di cassa del TUIR e la “maturazione territoriale” del § 2.2 del Commentario OCSE (art. 15), conferma che tali redditi sono imponibili nello Stato in cui è stata svolta l’attività, indipendentemente dal momento dell’erogazione.

    Secondo quanto riportato nell’ interpello n. 275/2022, se un reddito pluriennale riferito a lavoro svolto all’estero viene incassato in Italia durante la vigenza del regime impatriati, l’intero importo è imponibile in Italia, ma non beneficia dell’agevolazione. Tuttavia, l’imposta estera può essere recuperata ex art. 165 TUIR (circ. AdE n. 33/2020).

    Se il reddito è parzialmente maturato in Italia, solo questa quota rientra nel regime agevolato, calcolata in base ai giorni di lavoro svolti in Italia rispetto al totale.

    Un’ulteriore questione riguarda la tassazione dei redditi differiti tra il primo e il secondo quinquennio del regime di cui all’art. 16, DLgs. 147/2015: nell’interpello n. 854/2021 è stato chiarito che l’aliquota agevolata applicabile è quella vigente nell’anno di incasso. Tale problematica non si verifica più, invece, per coloro che beneficiano del nuovo regime degli impatriati di cui all’art. 5 del DLgs. 209/2023, in vigore dal 01/01/2024.

    Infine, per redditi maturati sotto il regime impatriati ma incassati dopo la sua scadenza, prevale il principio di cassa: saranno tassati ordinariamente senza agevolazioni (circ. AdE n. 33/2020, § 7.9).

    Ultimi pronunciamenti dell’Agenzia delle Entrate

    La risposta a interpello n. 81/2025 va in senso contrario a quanto appena detto. L’Agenzia delle Entrate ha esaminato il trattamento fiscale delle stock option nei rapporti transnazionali, giungendo a conclusioni differenti rispetto a quelle contenute in precedenti chiarimenti.

    Il caso analizzato riguarda un soggetto che ha avuto la residenza fiscale nel Regno Unito fino al 2023 e che è divenuto residente fiscale in Italia a partire dal 2024.

    Tale persona aveva sottoscritto con una società inglese, presso cui ha lavorato fino a dicembre 2023, un accordo di stock option articolato come segue:

    • un bonus relativo all’attività svolta nel Regno Unito nel periodo 2021-2023, erogato integralmente nel 2024 dalla società inglese;
    • un bonus riferito al lavoro prestato nei trienni 2022-2024 e 2023-2025, con competenza fiscale britannica rispettivamente per due terzi e un terzo, corrisposti nel 2025 e nel 2026;
    • ulteriori bonus relativi all’attività svolta successivamente, di competenza esclusivamente italiana, in quanto erogati dalla branch italiana del gruppo.

    Nonostante la natura di retribuzione differita di tali emolumenti, l’Agenzia delle Entrate ha confermato che il momento impositivo è rappresentato dalla data di effettiva corresponsione delle azioni.

    Applicando l’articolo 15, paragrafo 1 della Convenzione contro le doppie imposizioni tra Italia e Regno Unito, l’Agenzia ha stabilito che, se un residente di uno Stato presta la propria attività lavorativa nello stesso Stato, spetta esclusivamente a quest’ultimo il diritto di tassare le retribuzioni percepite.

    Questo significa che qualora durante il vesting period il lavoratore abbia svolto la propria attività nel Regno Unito e fosse residente in tale Stato, il bonus deve essere assoggettato a tassazione esclusivamente nel Regno Unito, anche se il pagamento è avvenuto in un momento successivo, quando il beneficiario era ormai residente in Italia.

    Pertanto, il bonus relativo agli anni 2021-2023, in quanto legato ad attività lavorativa svolta nel Regno Unito da un soggetto residente in tale Stato, non è imponibile in Italia. Il premio relativo al periodo 2022-2024 è esente in Italia per 2/3, mentre quello relativo alle annualità 2023-2025 è esente in Italia per 1/3.

    Monitoraggio fiscale e quadro RW

    Ai sensi dell’art. 4 del DL 167/90, le attività finanziarie estere, incluse stock option e partecipazioni, devono essere dichiarate nel quadro RW del modello REDDITI o nel quadro W del modello 730.

    La risoluzione 73/2014 dell’Agenzia delle Entrate stabilisce che:

    • le stock option non cedibili non vanno dichiarate finché non scade il vesting period;
    • dopo il vesting period, vanno dichiarate solo se il prezzo di esercizio è inferiore al valore di mercato del sottostante;
    • i diritti di opzione cedibili vanno sempre dichiarati e assoggettati a IVAFE.

    Nel quadro RW, il valore iniziale è il prezzo di esercizio previsto dal piano, mentre il valore finale è il valore corrente del sottostante alla fine del periodo d’imposta.

    Le azioni acquisite tramite stock option devono sempre essere indicate nel quadro RW, anche se vendute contestualmente all’esercizio dell’opzione, per adempiere agli obblighi di monitoraggio fiscale e IVAFE. La valorizzazione si basa sul valore di mercato o, in assenza, sul valore nominale o di rimborso.

  • Vincite nei casinò a Las Vegas: tassazione in Italia

    Vincite nei casinò a Las Vegas: tassazione in Italia

    Un tema che viene affrontato raramente è quello della tassazione o meno delle vincite nei casinò.

    In base al comma 1-bis nell’art. 69 del TUIR “le vincite corrisposte da case da gioco autorizzate nello Stato o negli altri Stati membri dell’Unione Europea o in uno Stato aderente all’Accordo sullo Spazio economico europeo non concorrono a formare il reddito per l’intero ammontare percepito nel periodo di imposta”.

    Questo significa che un residente fiscale Italiano non sarà assoggettato a tassazione come redditi diversi per i premi vinti nei casinò italiani, UE e SEE.

    Il principio è stato anche ribadito dalla Cassazione n. 13038 del 14 maggio 2021

    Cosa accade, invece, alle vincite realizzate in paesi extra UE? Ad esempio in uno dei casinò di Las Vegas.

    In questo caso, come chiarito dalla recente ordinanza n. 3879/2025 della Corte di Cassazione, non applica il comma 1-bis nell’art. 69 del TUIR, bensì il comma 1 in base al quale “i premi e le vincite di cui alla lett. d) del comma 1 dell’art. 67 costituiscono reddito per l’intero ammontare percepito nel periodo di imposta, senza alcuna deduzione”. La persona fisica residente in Italia che vince delle somme di denaro in un casinò extra UE è tenuta a dichiararla nel quadro RL del Modello Redditi e assoggettare il premio a tassazione IRPEF.

    La stessa Convenzione contro le doppie imposizioni tra Italia e Stati Uniti, all’art. 22, prevede la tassazione esclusiva delle vincite al casinò nello Stato di residenza del percettore del premio.

    Una situazione simile a quella di cui alla sentenza sopra menzionata, si è verificata in riferimento a vincite realizzate nel Principato di Monaco, anch’esso Paese extra UE, ed è stata trattata dalla Cassazione con la sentenza n. 24589/2020, la quale, anche in queto caso, ha statuito l’imponibilità in Italia del premio.

    Vale inoltre la pena di sottolineare che la norma prevede un regime di tassazione piena delle vincite, cioè al lordo delle spese sostenute per produrle.

  • Ritenuta sui dividendi distribuiti a società extra-UE: rimborso

    Ritenuta sui dividendi distribuiti a società extra-UE: rimborso

    Il contenuto esamina schematicamente la sentenza n. 509/2024 – CGT di Pescara in merito alla ritenuta sui dividendi di fonte italiana pagati ad una società statunitense.

    1. Contesto e Principio Violato

    • Decisione: La CGT di Pescara ha riconosciuto il rimborso alla società americana della differenza tra l’aliquota sulla ritenuta sui dividendi convenzionale (5%) e quella più favorevole applicata a società UE (1,2%).
    • Motivazione: Violazione del principio di libera circolazione dei capitali (art. 63 TFUE).

    2. Il Caso

    • Società coinvolta: Società americana con partecipazione in una società italiana.
    • Fatti:
      • Nel 2018 ha percepito dividendi con ritenuta del 5% (art. 10, co. 2, lett. a, Convenzione ITA-USA).
      • Ha contestato la mancata applicazione dell’aliquota ridotta dell’1,2% (art. 27, co. 3-ter, DPR 600/1973).
    • Argomentazione della società americana:
      • Disparità di trattamento tra società extra-UE e UE/SEE.
      • Violazione dell’art. 63 TFUE sulla libera circolazione dei capitali.
    • Replica dell’Agenzia delle Entrate:
      • Soggetti residenti e non residenti non sono equiparabili.
      • La società ricorrente non era beneficiario effettivo dei dividendi.

    3. Decisione della CGT

    • Accoglimento del ricorso: Diritto al rimborso della maggiore ritenuta sui dividendi subita.
    • Precedente richiamato: Cass. n. 21481/2022 su fondi d’investimento extra-UE.
    • Principio confermato: Applicabilità dell’aliquota ridotta (1,2%) anche a soggetti residenti in paesi terzi, in base all’art. 63 TFUE.

    4. Orientamento della Corte di Giustizia UE

    • Restrizioni ai movimenti di capitali vietate se dissuadono investimenti transfrontalieri.
    • Eccezioni ex art. 65 TFUE ammesse solo se non discriminatorie o restrittive in modo occulto.
    • Conclusione: La discriminazione verso la società americana viola il principio di non discriminazione e la libera circolazione dei capitali.

    5. Beneficiario Effettivo e Implicazioni Future

    • La CGT ha riconosciuto che la società americana era beneficiario effettivo dei dividendi.
    • La sentenza segue altre pronunce della CGUE sull’interpretazione conforme ai principi UE.
    • Possibili sviluppi: Nuove pronunce potrebbero estendere il rimborso ad altre società extra-UE (es. USA, UK) per dividendi distribuiti negli ultimi anni.
  • Cessione di partecipazioni e trasferimento di residenza

    Cessione di partecipazioni e trasferimento di residenza

    Nell’ambito delle Convenzioni Contro le Doppie Imposizioni (CDI), il trattamento fiscale delle plusvalenze da cessione di partecipazioni è regolato dall’articolo 13 del modello OCSE. Questo articolo stabilisce criteri di territorialità specifici, differenziando le modalità di imposizione a seconda della natura dei beni coinvolti.

    Regole generali

    In particolare, il principio di tassazione varia in base alla tipologia di asset oggetto della plusvalenza. Tra le principali categorie disciplinate rientrano:

    • Beni immobili, per i quali il diritto di tassazione spetta generalmente allo Stato in cui il bene è situato;
    • Beni mobili appartenenti a una stabile organizzazione, tassati nello Stato in cui la stabile organizzazione è localizzata;
    • Navi e aeromobili utilizzati nel traffico internazionale, che seguono regole particolari in base alla giurisdizione dell’impresa che li gestisce;
    • Altri beni, per i quali l’imposizione dipende dalle disposizioni specifiche previste dalle singole convenzioni.

    Queste distinzioni riflettono la volontà di bilanciare gli interessi fiscali degli Stati coinvolti, evitando fenomeni di doppia imposizione o doppia non imposizione.

    Per quanto riguarda la cessione di partecipazioni, la regola generale prevede la tassazione esclusiva della plusvalenza nello stato di residenza del cedente.

    Cessione di partecipazioni con contestuale trasferimento di residenza

    Tuttavia, alcune Convenzioni includono clausole che consentono l’imposizione anche nello Stato nel quale ha la residenza la società ceduta, a condizione che il cedente, residente nell’altro Stato, sia stato residente dello stesso Stato della società ceduta in un periodo immediatamente anteriore al trasferimento delle azioni o quote, generalmente fissato in 5 anni.

    Queste clausole sono state introdotte per impedire che un individuo, dopo aver trasferito la propria residenza fiscale in un altro Stato—spesso con una tassazione più favorevole—venda immediatamente le proprie partecipazioni in una società situata nel Paese di origine, ottenendo così una plusvalenza che sarebbe tassata esclusivamente nel nuovo Stato di residenza. Al contrario, la loro applicazione consente ai due Stati di esercitare un potere impositivo concorrente, con l’obiettivo di disincentivare trasferimenti di residenza temporanei o meramente strumentali.

    Un esempio piuttosto attuale, in ragione del possibile trasferimento di molti ex-non-dom dal Regno Unito all’Italia, è proprio la convenzione tra questi due paesi, che include una clausola che consente di assoggettare a imposta la plusvalenza, se il cedente è stato residente nel paese della fonte nei 5 anni precedenti l’alienazione e la plusvalenza non è soggetta ad imposta dello stato della residenza del cedente.

    Articolo 13

    Utili di capitale

    1. (…)
    2. (…)
    3. (…)
    4. Gli utili derivanti dalla alienazione di ogni altro bene diverso da quelli menzionati nei paragrafi precedenti del presente articolo sono imponibili soltanto nello Stato contraente di cui l’alienante è residente.
    5. Le disposizioni del paragrafo 4 del presente articolo non pregiudicano il diritto di uno Stato contraente di prelevare, conformemente alla propria legislazione, una imposta sugli utili, derivanti dalla alienazione di un qualsiasi bene, realizzati da una persona fisica che:
    6. è residente dell’altro Stato contraente; e
    7. è stata residente del predetto primo Stato contraente in un qualsiasi momento nel corso dei cinque anni immediatamente precedenti l’alienazione del bene; e
    8. non è soggetta ad imposta per tali utili nell’altro Stato contraente.

    Simili clausole riconoscono quindi all’ex Stato di residenza la facoltà di tassare determinati redditi secondo la propria normativa interna. Tuttavia, questo potere non è assoluto, ma incontra dei limiti. In particolare, esso viene meno quando la normativa interna esclude la tassazione dei non residenti, come avviene nella maggior parte dei casi per le partecipazioni non qualificate.

    Diversamente, la tassazione può essere applicata quando la normativa interna non prevede specifiche esenzioni per i non residenti. Questo è il caso delle partecipazioni qualificate, per le quali il potere impositivo dello Stato di origine è generalmente riconosciuto.

    Regime dei neo domiciliati

    Un’impostazione analoga è stata adottata dal legislatore nazionale nell’articolo 24-bis del TUIR, che disciplina il regime dei neo domiciliati. In particolare, il comma 1 esclude dall’imposta forfettaria di 200.000 euro le plusvalenze derivanti dalla cessione di partecipazioni qualificate nei primi cinque anni di applicazione del regime. Di conseguenza, tali plusvalenze restano soggette alla normale tassazione prevista dalla normativa vigente.

  • Lavoro dipendente svolto all’estero: come è tassato in Italia?

    Lavoro dipendente svolto all’estero: come è tassato in Italia?

    Dopo aver introdotto quando il reddito da lavoro dipendente svolto all’estero è tassato in Italia, nel presente contributo ci si concentra sulle modalità di imposizione, con un focus particolare sulle retribuzioni convenzionali, rimandando ad uno specifico articolo per i lavoratori frontalieri.

    I redditi da lavoro dipendente di fonte estera risultano imponibili in Italia secondo tre modalità alternative:

    • regime ordinario;
    • tassazione secondo le retribuzioni convenzionali;
    • tassazione secondo il regime dei lavoratori frontalieri.

    Regime ordinario

    È la casistica più semplice, nella quale occorre rideterminare il reddito estero secondo la normativa fiscale italiana, contenuta nell’art 51 co. 1 – 8 del TUIR.

    L’imposta estera da detrarre da quella italiana ai sensi dell’art. 165 del TUIR dovrebbe essere assunta in misura piena. Il credito per le imposte pagate all’estero verrà trattato in un articolo a parte.

    Retribuzioni convenzionali

    Se il reddito da lavoro dipendente è svolto all’estero in via continuativa e come oggetto esclusivo del rapporto lavorativo, per un periodo superiore a 183 giorni nell’arco di 12 mesi, è applicabile il regime delle retribuzioni convenzionali, ex art. 51 co. 8-bis del TUIR, che consente di assumere quale base imponibile italiana non le somme e i valori effettivamente percepiti ma alcun importi determinati in modo forfetario in base al settore di attività.

    Per poter applicare le retribuzioni convenzionali devono essere rispettate una serie di condizioni:

    • il lavoratore continui a risultare fiscalmente residente in Italia ex art. 2 del TUIR;
    • il lavoro dipendente sia prestato all’estero;
    • l’attività di lavoro dipendente sia svolta all’estero in via continuativa e come oggetto esclusivo del rapporto di lavoro;
    • l’attività di lavoro dipendente sia svolta all’estero per un periodo superiore a 183 giorni nell’arco di 12 mesi.

    In merito alla continuità ed esclusività si evidenzia quanto segue:

    • che il contratto di lavoro deve prevedere la prestazione in via esclusiva del lavoro all’estero, con conseguente esclusione dei dipendenti in trasferta (C.M. 16.11.2000 n. 207/E); 
    • che la prestazione lavorativa deve materialmente essere svolta integralmente all’estero (ris. Agenzia Entrate 11.9.2007 n. 245);
    • che il regime in esame può trovare applicazione anche se il datore di lavoro è estero (circ. Agenzia Entrate 21.5.2014 n. 11);
    • che non impedisce l’applicazione del regime il fatto che la prestazione sia svolta in più Stati (consulenza giuridica DRE Emilia Romagna 13.5.2019 n. 909-4/2019).

    Qualora, invece, il lavoratore dipendente presti la propria attività lavorativa all’estero per meno di 183 giorni nell’arco di 12 mesi, la tassazione è realizzata in via ordinaria sulla base imponibile la retribuzione effettivamente corrisposta.

    Se ricorrono le condizioni per l’applicazione delle retribuzioni convenzionali, ai fini della determinazione della base imponibile relativa all’attività prestata all’estero si deve fare riferimento ai parametri definiti annualmente con apposito DM. In tal caso, il sostituto d’imposta, se presente, dovrà effettuare le ritenute sulla base delle retribuzioni convenzionali, salvo poi operare le necessarie rettifiche in sede di conguaglio, qualora vengano meno i requisiti del co. 8-bis.

    Le retribuzioni sono contenute in apposite tabelle allegate ai DM, determinate in base ai settori produttivi, in cui le retribuzioni sono fissate a seconda delle qualifiche e delle fasce retributive. Il regime non può essere applicato se l’attività svolta all’estero non rientra tra quelle previste dai DM

    Nel caso in cui le retribuzioni convenzionali dovessero superare quelle effettive, non sarebbe possibile assoggettare a tassazione il reddito effettivamente prodotto (contra C.T. Prov. Macerata 3.3.2015 n. 67/2/15).

    Nel caso in cui il reddito da lavoro dipendente svolto prodotto all’estero concorra parzialmente alla formazione del reddito complessivo, anche l’imposta estera va ridotta in misura corrispondente. Come chiarito dall’Agenzia delle Entrate nella ris. 8.7.2013 n. 48 e nella circ. 5.3.2015 n. 9, in questi casi occorre “riparametrare” l’imposta estera in base al rapporto tra la retribuzione convenzionale e la retribuzione che sarebbe stata tassabile in Italia in via ordinaria.

    Lavoratori frontalieri

    I lavoratori frontalieri possono beneficiare di disposizioni agevolative sia da parte di norme speciali interne, che prevedono un’apposita franchigia, pari a 10.000 euro di reddito, non assoggettato ad imposta, sia da parte di accordi internazionali, che riservano il beneficio della tassazione esclusiva nello Stato dove è svolta l’attività o nello Stato di residenza.

    Sono tre i requisiti di fondo per definire i frontalieri:

    • la residenza fiscale italiana del lavoratore;
    • il fatto che il lavoro sia prestato nello Stato estero in via continuativa e come oggetto esclusivo del rapporto (e non si tratti di mere attività occasionali prestate oltreconfine);
    • il fatto che il lavoro sia prestato in zone di frontiera, o in Stati limitrofi.

    Pur non essendo un requisito previsto dalla norma, l’Agenzia delle Entrate, nella circ. 15.1.2003 n. 2 prevede che il regime dei frontalieri sia riservato ai soggetti che quotidianamente si recano all’estero per svolgere la prestazione lavorativa.

    Il regime è, quindi, precluso a quei soggetti che, pur rispettando gli altri requisiti, soggiornano stabilmente nella zona di frontiera dello Stato estero dove è svolta l’attività lavorativa, ai quali, invece, possono essere applicate le retribuzioni convenzionali, qualora nel ricorrano tutti i presupposti di legge.

    Per maggiori informazioni sul lavoro dipendente svolto all’estero da parte dei frontalieri e su particolari accordi internazionali, si rimanda allo specifico contenuto.

  • Lavoro dipendente svolto all’estero: quando è tassato in Italia?

    Lavoro dipendente svolto all’estero: quando è tassato in Italia?

    Nel presente contributo analizziamo quando i redditi da lavoro dipendente svolto all’estero sono tassati in Italia.

    In un contributo separato, analizziamo, invece, le modalità di tassazione dei medesimi redditi.

    Ai sensi dell’art. 3 del TUIR, i soggetti residenti sono assoggettati a tassazione in Italia su base worldwide. Per quanto riguarda i redditi di lavoro dipendente svolto all’estero da soggetti residenti in Italia, le Convenzioni contro le doppie imposizioni stipulate dall’Italia si rifanno, salvo poche eccezioni, alla disciplina contenuta nell’art. 15 del modello OCSE.

    Quest’ultimo non fornisce, invece, una definizione dei redditi di lavoro dipendente; è quindi necessario fare rifermento alle singole legislazioni interne degli Stati contraenti (per l’Italia, gli artt. 49, 50, 51 e 52 del TUIR, in materia di redditi di lavoro dipendente e di redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente).

    Secondo l’Agenzia delle Entrate, seguono i principi dell’art. 15 del modello OCSE e quindi sono considerati redditi da lavoro dipendente, anche:

    • il TFR, salvo che le Convenzioni lo disciplinino in modo espresso (es. Convenzione Italia – Stati Uniti, che lo assimila alle pensioni);
    • l’indennità sostitutiva del preavviso;
    • le prestazioni erogate dai fondi pensione aziendali;
    • le somme corrisposte a titolo di incentivo all’esodo;
    • le somme corrisposte per la risoluzione del rapporto di lavoro;
    • le somme corrisposte in esito ad una conciliazione giudiziale per mancata stipula del contratto di lavoro;
    • i bonus corrisposti per l’attività lavorativa.

    Tassazione concorrente nello Stato della fonte e nello Stato di residenza

    L’art. 15 paragrafo 1 del modello OCSE stabilisce la regola generale in base alla quale:

    • la tassazione avviene nello Stato nel quale è effettivamente svolta l’attività di lavoro dipendente;
    • tuttavia, se l’attività è svolta in uno Stato diverso da quello di residenza, si verifica un fenomeno di tassazione concorrente nei due Stati.

    In questi casi, l’imposta pagata all’estero è detratta da quella italiana secondo le regole previste dall’art. 165 del TUIR.

    Tassazione esclusiva nello Stato di residenza del lavoratore

    In deroga a quanto appena illustrato, il paragrafo 2 dell’art. 15 del modello OCSE prevede, a determinate condizioni, l’esenzione da tassazione nello Stato dove è svolta l’attività di lavoro dipendente e la tassazione nel solo Stato di residenza del lavoratore.

    La tassazione esclusiva nello Stato di residenza del lavoratore è subordinata al verificarsi di tutte le seguenti condizioni:

    • il beneficiario soggiorni nello Stato in cui esercita l’attività di lavoro dipendente per un periodo che non oltrepassa in totale 183 giorni nel corso di un periodo di 12 mesi, che inizi o che termini nell’anno fiscale considerato;
    • le remunerazioni siano pagate da, o per conto di, un datore di lavoro che non è residente nello Stato dove viene svolta l’attività di lavoro dipendente;
    • l’onere delle remunerazioni non sia sostenuto da una stabile organizzazione, o da una base fissa, di cui il datore di lavoro dispone nello Stato in cui è svolta l’attività.

    In base alla C.M. 17.8.96 n. 201/E, i giorni di presenza fisica all’estero includono il giorno di arrivo e quello di partenza, i week end e i giorni festivi se trascorsi all’estero, i congedi di malattia. Il calcolo deve essere realizzato nel corso di un periodo di 12 mesi che inizi o che termini nel periodo d’imposta. 

    Se nello stato estero sono state prelevate imposte in presenza di una Convenzione che, invece, prevede la tassazione esclusiva in Italia, le medesime non possono essere recuperate con il meccanismo dell’art. 165 del TUIR e devono, quindi, essere richieste a rimborso allo Stato estero.

  • Dividendi da paradisi fiscali percepiti da persone fisiche

    Dividendi da paradisi fiscali percepiti da persone fisiche

    Questo contenuto relativo ai c.d. dividendi da paradisi fiscali è un approfondimento relativo alla tassazione dei dividendi di fonte estera percepiti da persone fisiche non imprenditori per il cui trattamento si rimanda allo specifico articolo.

    La tassazione dei dividendi provenienti da società situate in Stati o territori con regimi fiscali privilegiati è regolata dall’articolo 47, comma 4, e dall’articolo 89, comma 3 del TUIR. Indipendentemente dalla tipologia di partecipazione detenuta (qualificata o non qualificata), tali dividendi sono integralmente imponibili ai fini IRPEF, salvo specifiche eccezioni che il contribuente può dimostrare.

    Relazioni di controllo

    Si considerano provenienti da entità residenti o situate in giurisdizioni con un regime fiscale privilegiato gli utili derivanti da:

    • partecipazioni dirette in tali imprese;
    • partecipazioni indirette, detenute tramite partecipazioni di controllo, anche indirette, in società intermediarie localizzate in paesi con una tassazione ordinaria.

    Come evidenziato dall’Agenzia delle Entrate nella Circolare 35/2016, la provenienza da paesi con regimi fiscali privilegiati è applicabile:

    • per le partecipazioni dirette in imprese situate in paesi con un regime fiscale privilegiato, anche se la quota di partecipazione non garantisce il controllo;
    • per le partecipazioni indirette in imprese situate in paesi con regimi fiscali privilegiati, a condizione che siano detenute, anche in misura minoritaria, da società controllate dalla società residente in Italia.

    Regimi fiscali privilegiati

    I regimi fiscali sono considerati privilegiati, ai sensi dell’articolo 47-bis, comma 1, del TUIR, quando:

    • per le partecipazioni di controllo (come definito dall’articolo 167, comma 2), il livello di tassazione effettiva della società partecipata è inferiore del 50% rispetto a quello che sarebbe stato applicato se fosse stata residente in Italia;
    • per le partecipazioni non di controllo, se il livello di tassazione nominale della partecipata è inferiore del 50% rispetto a quello italiano.

    Per i soci non di controllo, bisogna considerare anche i regimi fiscali speciali che possono applicarsi in base a particolari caratteristiche soggettive o temporali. Si tratta, nello specifico, di regimi concessi all’impresa estera in funzione, ad esempio:

    • delle caratteristiche soggettive (come nel caso delle microimprese);
    • della localizzazione dell’attività (come nelle “free zones”);
    • degli accordi di ruling conclusi con l’amministrazione fiscale locale;
    • delle agevolazioni temporanee (non strutturali)

    Esempi tipici di giurisdizione da cui possono provenire dividendi di questo tipo sono gli Emirati Arabi, Hong Kong, la Bulgaria, Panama.

    Stati membri della UE e del SEE

    A differenza di quanto avviene per il regime delle CFC, non sono considerati regimi fiscali privilegiati quelli previsti dagli Stati membri dell’Unione Europea o dagli Stati che fanno parte dello Spazio Economico Europeo.

    Anche le misure estremamente favorevoli adottate da questi Stati, come accade, ad esempio, con la c.d. “two tier structure” a Malta, non possono dunque comportare penalizzazioni ai sensi dell’articolo 47-bis del TUIR e gli utili distribuiti da queste società non si considerano dividendi da paradisi fiscali.

    Dividendi da società quotate

    Un’eccezione riguarda gli utili derivanti da partecipazioni in società residenti in territori a fiscalità privilegiata, ma quotate in mercati regolamentati. In tali casi, i dividendi sono soggetti a una ritenuta a titolo di imposta del 26%, calcolata sull’intero ammontare del dividendo percepito (art. 27, comma 4, lettera b, secondo periodo, DPR 600/73).

    Disapplicazione della disciplina

    La disciplina in questione può essere disapplicata, ai sensi dell’articolo 47-bis, comma 2, del TUIR, dimostrando alternativamente:

    • che l’entità estera partecipata svolge un’attività economica effettiva, impiegando personale, attrezzature, beni e locali;
    • che la partecipazione non ha come effetto la localizzazione dei redditi in paesi a regime fiscale privilegiato.

    Eccezioni alla tassazione integrale

    La piena imponibilità può essere esclusa nei seguenti casi:

    1. Applicazione delle norme CFC: I dividendi sono già stati imputati al socio ai sensi dell’art. 167 del TUIR.
    2. Dimostrazione di esimente tramite interpello: Il contribuente può provare che la partecipazione non ha prodotto l’effetto di localizzare i redditi in territori a fiscalità privilegiata (art. 47-bis, comma 2, lettera b, del TUIR).

    In assenza di esimenti, i dividendi sono soggetti a una ritenuta del 26% a titolo di acconto sull’intero importo (art. 27, comma 4, lettera b, DPR 600/73) ed inclusi nella base imponibile IRPEF.

    Modalità di disapplicazione della tassazione integrale

    Per beneficiare della disapplicazione del regime di tassazione integrale, è necessario dimostrare, attraverso una delle seguenti modalità, che non si verifica alcun effetto di localizzazione dei redditi in territori a fiscalità privilegiata:

    • Interpello preventivo: Consente di ottenere una conferma dell’esimente prima della dichiarazione dei redditi.
    • Controllo successivo: Se non viene presentato l’interpello, è obbligatorio indicare distintamente gli utili nel modello REDDITI PF, compilando il rigo RL1 con un codice specifico per ogni casistica.

    Credito per imposte estere

    Le persone fisiche residenti che percepiscono dividendi da paradisi fiscali possono beneficiare del credito per le imposte pagate all’estero, ai sensi dell’art. 165 del TUIR. Questo credito è riconosciuto senza restrizioni legate al livello di tassazione del Paese estero o alla presenza di una convenzione contro le doppie imposizioni (Risoluzione Agenzia delle Entrate n. 147/2007).

    Credito d’imposta indiretto

    L’articolo 47, comma 4, del TUIR introduce la possibilità di richiedere un credito d’imposta indiretto, calcolato sulle imposte versate all’estero dalla società partecipata da cui provengono gli utili. Per ottenere questo beneficio, il contribuente deve dimostrare che la società estera svolge un’attività economica effettiva, come previsto dall’art. 47-bis, comma 2, lettera a, del TUIR.

    Conclusioni

    Il trattamento fiscale dei dividendi da paradisi fiscali risponde a regole stringenti volte a contrastare la localizzazione artificiosa dei redditi. Tuttavia, i contribuenti possono avvalersi di strumenti per ridurre l’impatto fiscale, come l’interpello o il riconoscimento del credito d’imposta. La corretta gestione di questi aspetti consente di ottimizzare il carico tributario nel rispetto della normativa vigente.

  • Dividendi esteri percepiti da persone fisiche

    Dividendi esteri percepiti da persone fisiche

    La disciplina fiscale italiana regola in modo dettagliato il trattamento dei dividendi esteri percepiti da persone fisiche residenti in Italia. Ecco un’analisi dei principali aspetti normativi e giurisprudenziali legati a questa tematica.

    Ritenuta a titolo di imposta: regime ordinario

    L’articolo 27, comma 4, del DPR 600/73 stabilisce che i dividendi di fonte estera incassati da persone fisiche non esercenti attività d’impresa siano soggetti a una ritenuta a titolo d’imposta del 26%. Tale aliquota si applica sull’intero importo percepito, indipendentemente dalla natura qualificata o meno della partecipazione.

    Si rimanda allo specifico articolo per i dividendi percepiti da società residenti in giurisdizioni a fiscalità privilegiata.

    Base imponibile e “Netto Frontiera”

    Il comma 4-bis dello stesso articolo prevede che la ritenuta sui dividendi eteri debba essere calcolata sul “netto frontiera”, ovvero al netto delle eventuali ritenute operate dallo Stato estero. Questo principio si applica solo se il dividendo è riscosso attraverso un intermediario fiscale residente.

    Dividendi percepiti direttamente: imposta sostitutiva

    Se i dividendi sono percepiti senza l’intervento di un intermediario italiano (ad esempio, su conti esteri), il contribuente è tenuto a dichiarare l’utile nel quadro RM della dichiarazione dei redditi, applicando un’imposta sostitutiva del 26%, come previsto dall’articolo 18 del TUIR. Tuttavia, in questo caso, l’imposta viene calcolata sull’intero importo lordo del dividendo, in deroga alla regola del “netto frontiera”.

    Disparità impositiva e critiche

    L’impostazione dell’Agenzia delle Entrate, che considera il dividendo lordo come base imponibile per l’imposta sostitutiva, ha sollevato diverse critiche in dottrina. In particolare, si evidenzia una potenziale violazione dell’articolo 63 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE), che vieta restrizioni ai movimenti di capitali tra Stati membri.

    Credito per imposte estere

    Il credito per le imposte assolte all’estero non è riconosciuto nei casi in cui i dividendi siano tassati in Italia con ritenuta a titolo d’imposta o imposta sostitutiva. Questo aspetto è stato oggetto di dibattito, soprattutto alla luce della sentenza della Corte di Cassazione n. 25698 del 1° settembre 2022.

    Giurisprudenza e precedenti

    La giurisprudenza sta consolidando l’orientamento secondo cui, in applicazione delle disposizioni convenzionali, è possibile detrarre dall’imposta sostitutiva italiana l’imposta pagata all’estero sui dividendi, ai sensi dell’art. 165 del TUIR, anche quando tali redditi non concorrono alla formazione della base imponibile IRPEF (Cass. 8.11.2024 n. 28801; Cass. 1.9.2022 n. 25698; C.G.T. I Siena 11.4.2024 n. 68/1/24; C.G.T. I Milano 19.7.2024 n. 3184/13/24).

    Alla luce di questo orientamento, si raccomanda di presentare un’istanza di rimborso dell’imposta estera, come avvenuto nei casi oggetto di sentenza, in attesa di eventuali modifiche normative che possano chiarire ulteriormente la disciplina in materia.

    Questo principio è stato esteso anche ai rapporti disciplinati da trattati fiscali simili a quello tra Italia e Stati Uniti, applicabili a Paesi come Francia, Regno Unito e Germania.

    Per il credito relativo alle imposte estere detratte dall’imposta sostitutiva sui dividendi, si rimanda allo specifico articolo.

    Esempio di Tassazione

    Un esempio pratico aiuta a comprendere meglio la disparità tra i regimi di tassazione. Consideriamo un dividendo lordo di 1.000.000 con una ritenuta estera del 15% (150.000):

    • Percezione diretta: L’imposta sostitutiva del 26% si applica sull’importo lordo, pari a 260.000, portando l’onere fiscale totale a 410.000 e il dividendo netto a 590.000.
    • Percezione tramite intermediario: La ritenuta si applica sul “netto frontiera” di 850.000, risultando in un’imposta di 221.000. L’onere complessivo è di 371.000, con un dividendo netto di 629.000.

    Conclusioni e Implicazioni Fiscali

    La disparità nei regimi di tassazione può comportare oneri aggiuntivi per i contribuenti che percepiscono dividendi direttamente dall’estero. Inoltre, la possibilità di ottenere un rimborso per la differenza d’imposta rimane limitata, come evidenziato dalla giurisprudenza recente.

    In tale contesto, è essenziale valutare attentamente il regime fiscale applicabile e considerare l’assistenza di un consulente per ottimizzare la gestione delle imposte sui dividendi esteri.

  • Società di persone estere e benefici convenzionali

    Società di persone estere e benefici convenzionali

    Secondo quanto affermato nella risposta a interpello n. 17 del 12 gennaio 2022, i dividendi distribuiti da una società di capitali italiana a una società di persone estere (nello specifico una partnership trasparente costituita secondo il diritto inglese) non possono beneficiare direttamente delle agevolazioni previste dalla Convenzione contro le doppie imposizioni tra Italia e Regno Unito.

    Le motivazioni principali risiedono nella natura giuridica della società di persone estere:

    • La partnership, non essendo soggetto passivo d’imposta autonomo, non rientra tra le “persone residenti” definite dal trattato bilaterale.
    • Tuttavia, i singoli partner della partnership possono accedere ai benefici della Convenzione con riferimento alla loro quota di reddito, a condizione che siano soggetti a imposizione nel loro Stato di residenza (liable to tax) e siano i beneficiari effettivi dei dividendi.

    Lo stesso principio è stato ribadito in precedenti interpelli, come il n. 258 del 2021, dove si è chiarito che i dividendi di fonte italiana pagati a un fondo di investimento trasparente svizzero, partecipato da una fondazione svizzera esente da imposta, possono beneficiare delle riduzioni previste dall’art. 10 della Convenzione Italia-Svizzera.

    Riferimenti Normativi e Modello OCSE 2017

    Le regole relative alle partnership estere trovano una codifica specifica nell’art. 1, paragrafo 2, del modello OCSE 2017. Sebbene tale previsione non sia presente nelle Convenzioni firmate dall’Italia (fatti salvi alcuni casi particolari, come nel caso della Convenzione con gli Stati Uniti), essa si basa sui principi delineati nel Rapporto OCSE del 1999 intitolato The Application of the OECD Model Tax Convention to Partnerships. Questo rapporto è stato recepito nelle linee guida del Commentario all’art. 1 del modello OCSE, rendendolo applicabile anche ai rapporti con Stati con cui l’Italia ha stipulato una Convenzione fiscale.

    Principi Fondamentali del Modello OCSE

    • Le Convenzioni si applicano, secondo l’art. 1, paragrafo 1, del modello OCSE, alle “persone” che sono residenti di uno Stato contraente.
    • L’espressione “residente di uno Stato contraente” si riferisce, ai sensi dell’art. 4, paragrafo 1, del modello, alle persone soggette a imposizione nello Stato di residenza (liable to tax).

    Le società di persone e le partnership, pur essendo considerate “persone” secondo il Commentario all’art. 3 (§ 2), non sono considerate “residenti” ai sensi dell’art. 4, paragrafo 1, se sono entità trasparenti, ovvero non soggette a tassazione autonoma ma trasparenti rispetto ai partner.

    Trattamento Fiscale delle Partnership

    Il Commentario al modello OCSE stabilisce le seguenti regole:

    1. Partnership tassate come società di capitali: se la partnership è soggetta a tassazione autonoma, essa può essere considerata “residente di uno Stato contraente” ai fini dell’art. 4. In tal caso, la Convenzione tra lo Stato della fonte del reddito e lo Stato di residenza della partnership si applica direttamente alla partnership stessa.
    2. Partnership trattate come entità trasparenti: se la partnership è considerata trasparente ai fini fiscali, i benefici convenzionali spettano ai singoli partner. Questi ultimi, per usufruire delle agevolazioni, devono essere qualificati come “persone residenti di uno Stato contraente” ai sensi della Convenzione.

    Conclusioni

    La corretta applicazione delle Convenzioni contro le doppie imposizioni in presenza di partnership estere richiede un’analisi approfondita della natura giuridica e fiscale della stessa. Nel caso di entità trasparenti, l’attenzione si sposta sui partner, che devono soddisfare i requisiti di residenza fiscale e di effettiva imposizione per accedere ai benefici convenzionali per i quali si rimanda allo specifico articolo.

  • Dividendi di fonte italiana: applicazione ritenuta convenzionale

    Dividendi di fonte italiana: applicazione ritenuta convenzionale

    Regime Fiscale Ordinario: Applicazione della Ritenuta al 26%

    I dividendi distribuiti da società italiane a soggetti non residenti, inclusi coloro che risiedono in paesi a fiscalità privilegiata, sono assoggettati a una ritenuta fiscale del 26% sull’intero importo del dividendo, a condizione che la partecipazione non sia collegata a una stabile organizzazione situata in Italia.

    Rimborso Parziale della Ritenuta (11/26)

    L’articolo 27, comma 3, del DPR 600/73 prevede che i soggetti non residenti possano richiedere il rimborso di una parte della ritenuta applicata in Italia, fino a un massimo di 11/26. Per ottenere il rimborso, è necessario dimostrare, tramite una certificazione dell’ufficio fiscale estero competente, di aver pagato imposte definitive sugli stessi utili nel Paese di residenza.

    La richiesta di rimborso deve essere presentata al Centro Operativo di Pescara entro 48 mesi dall’applicazione della ritenuta.

    Come indicato nella Circolare Ministeriale 24 giugno 1998, n. 165/E, il contribuente non residente può scegliere il regime più vantaggioso tra il rimborso ordinario (11/26) e quello previsto da eventuali Convenzioni contro le doppie imposizioni.

    Le Convenzioni contro le doppie Imposizioni

    La normativa nazionale deve essere integrata con le regole previste dalle Convenzioni contro la doppia imposizione, basate sul modello OCSE.

    Queste Convenzioni, nella maggior parte dei casi, prevedono:

    • Il diritto dello Stato in cui ha sede la società che distribuisce i dividendi (Italia) di applicare una ritenuta fiscale, generalmente pari al 15%.
    • Un’aliquota ulteriormente ridotta (fino al 5%) per dividendi distribuiti tra società dello stesso gruppo.

    Nel caso di soci persone fisiche non residenti, la ritenuta applicata in uscita è generalmente pari al 15%.

    L’Agenzia delle Entrate, inoltre, nella risposta all’interpello n. 17 del 12 gennaio 2022, ha chiarito che una partnership estera (ad esempio britannica) non può beneficiare direttamente delle agevolazioni previste dalla Convenzione con l’Italia. Tuttavia, i partner della partnership possono accedere ai benefici convenzionali per la loro quota di reddito, a condizione che:

    • Siano soggetti a imposizione nel proprio Paese di residenza.
    • Siano i beneficiari effettivi dei dividendi.

    Come Richiedere l’Applicazione delle Convenzioni o il Rimborso

    Per beneficiare di un’aliquota ridotta prevista da una Convenzione contro la doppia imposizione, oppure per richiedere il rimborso delle ritenute eccedenti, il socio non residente deve agire preventivamente.

    La richiesta si effettua utilizzando il modello A (approvato con il provvedimento dell’Agenzia delle Entrate n. 84404 del 10 luglio 2013), che deve includere:

    • L’attestazione di residenza fiscale rilasciata dall’autorità fiscale del Paese estero.
    • La certificazione dell’autorità fiscale estera relativa alla residenza del beneficiario.

    Il modello deve essere inviato:

    • Al sostituto d’imposta italiano, per ottenere l’applicazione diretta dell’aliquota ridotta.
    • Al Centro Operativo di Pescara, per il rimborso delle ritenute eccedenti già versate.

    Per i residenti in Italia, l’attestato di residenza fiscale italiana viene rilasciato dalla Direzione Provinciale dell’Agenzia delle Entrate utilizzando il modello approvato con lo stesso provvedimento.

    Conclusioni

    La tassazione dei dividendi distribuiti a soggetti non residenti richiede un’attenta gestione della normativa nazionale e delle disposizioni previste dalle Convenzioni internazionali. Presentare in modo tempestivo e completo la documentazione necessaria consente di beneficiare delle aliquote ridotte e di evitare la doppia imposizione sui redditi percepiti.

    Per i dividendi di fonte estera, si rimanda allo specifico articolo.