Autore: Zeno Brusa

  • Dividendi da paradisi fiscali percepiti da persone fisiche

    Dividendi da paradisi fiscali percepiti da persone fisiche

    Questo contenuto relativo ai c.d. dividendi da paradisi fiscali è un approfondimento relativo alla tassazione dei dividendi di fonte estera percepiti da persone fisiche non imprenditori per il cui trattamento si rimanda allo specifico articolo.

    La tassazione dei dividendi provenienti da società situate in Stati o territori con regimi fiscali privilegiati è regolata dall’articolo 47, comma 4, e dall’articolo 89, comma 3 del TUIR. Indipendentemente dalla tipologia di partecipazione detenuta (qualificata o non qualificata), tali dividendi sono integralmente imponibili ai fini IRPEF, salvo specifiche eccezioni che il contribuente può dimostrare.

    Relazioni di controllo

    Si considerano provenienti da entità residenti o situate in giurisdizioni con un regime fiscale privilegiato gli utili derivanti da:

    • partecipazioni dirette in tali imprese;
    • partecipazioni indirette, detenute tramite partecipazioni di controllo, anche indirette, in società intermediarie localizzate in paesi con una tassazione ordinaria.

    Come evidenziato dall’Agenzia delle Entrate nella Circolare 35/2016, la provenienza da paesi con regimi fiscali privilegiati è applicabile:

    • per le partecipazioni dirette in imprese situate in paesi con un regime fiscale privilegiato, anche se la quota di partecipazione non garantisce il controllo;
    • per le partecipazioni indirette in imprese situate in paesi con regimi fiscali privilegiati, a condizione che siano detenute, anche in misura minoritaria, da società controllate dalla società residente in Italia.

    Regimi fiscali privilegiati

    I regimi fiscali sono considerati privilegiati, ai sensi dell’articolo 47-bis, comma 1, del TUIR, quando:

    • per le partecipazioni di controllo (come definito dall’articolo 167, comma 2), il livello di tassazione effettiva della società partecipata è inferiore del 50% rispetto a quello che sarebbe stato applicato se fosse stata residente in Italia;
    • per le partecipazioni non di controllo, se il livello di tassazione nominale della partecipata è inferiore del 50% rispetto a quello italiano.

    Per i soci non di controllo, bisogna considerare anche i regimi fiscali speciali che possono applicarsi in base a particolari caratteristiche soggettive o temporali. Si tratta, nello specifico, di regimi concessi all’impresa estera in funzione, ad esempio:

    • delle caratteristiche soggettive (come nel caso delle microimprese);
    • della localizzazione dell’attività (come nelle “free zones”);
    • degli accordi di ruling conclusi con l’amministrazione fiscale locale;
    • delle agevolazioni temporanee (non strutturali).

    Stati membri della UE e del SEE

    A differenza di quanto avviene per il regime delle CFC, non sono considerati regimi fiscali privilegiati quelli previsti dagli Stati membri dell’Unione Europea o dagli Stati che fanno parte dello Spazio Economico Europeo.

    Anche le misure estremamente favorevoli adottate da questi Stati, come accade, ad esempio, con la c.d. “two tier structure” a Malta, non possono dunque comportare penalizzazioni ai sensi dell’articolo 47-bis del TUIR e gli utili distribuiti da queste società non si considerano dividendi da paradisi fiscali.

    Dividendi da società quotate

    Un’eccezione riguarda gli utili derivanti da partecipazioni in società residenti in territori a fiscalità privilegiata, ma quotate in mercati regolamentati. In tali casi, i dividendi sono soggetti a una ritenuta a titolo di imposta del 26%, calcolata sull’intero ammontare del dividendo percepito (art. 27, comma 4, lettera b, secondo periodo, DPR 600/73).

    Disapplicazione della disciplina

    La disciplina in questione può essere disapplicata, ai sensi dell’articolo 47-bis, comma 2, del TUIR, dimostrando alternativamente:

    • che l’entità estera partecipata svolge un’attività economica effettiva, impiegando personale, attrezzature, beni e locali;
    • che la partecipazione non ha come effetto la localizzazione dei redditi in paesi a regime fiscale privilegiato.

    Eccezioni alla tassazione integrale

    La piena imponibilità può essere esclusa nei seguenti casi:

    1. Applicazione delle norme CFC: I dividendi sono già stati imputati al socio ai sensi dell’art. 167 del TUIR.
    2. Dimostrazione di esimente tramite interpello: Il contribuente può provare che la partecipazione non ha prodotto l’effetto di localizzare i redditi in territori a fiscalità privilegiata (art. 47-bis, comma 2, lettera b, del TUIR).

    In assenza di esimenti, i dividendi sono soggetti a una ritenuta del 26% a titolo di acconto sull’intero importo (art. 27, comma 4, lettera b, DPR 600/73).

    Modalità di disapplicazione della tassazione integrale

    Per beneficiare della disapplicazione del regime di tassazione integrale, è necessario dimostrare, attraverso una delle seguenti modalità, che non si verifica alcun effetto di localizzazione dei redditi in territori a fiscalità privilegiata:

    • Interpello preventivo: Consente di ottenere una conferma dell’esimente prima della dichiarazione dei redditi.
    • Controllo successivo: Se non viene presentato l’interpello, è obbligatorio indicare distintamente gli utili nel modello REDDITI PF, compilando il rigo RL1 con un codice specifico per ogni casistica.

    Credito per imposte estere

    Le persone fisiche residenti che percepiscono dividendi da paradisi fiscali possono beneficiare del credito per le imposte pagate all’estero, ai sensi dell’art. 165 del TUIR. Questo credito è riconosciuto senza restrizioni legate al livello di tassazione del Paese estero o alla presenza di una convenzione contro le doppie imposizioni (Risoluzione Agenzia delle Entrate n. 147/2007).

    Credito d’imposta indiretto

    L’articolo 47, comma 4, del TUIR introduce la possibilità di richiedere un credito d’imposta indiretto, calcolato sulle imposte versate all’estero dalla società partecipata da cui provengono gli utili. Per ottenere questo beneficio, il contribuente deve dimostrare che la società estera svolge un’attività economica effettiva, come previsto dall’art. 47-bis, comma 2, lettera a, del TUIR.

    Conclusioni

    Il trattamento fiscale dei dividendi da paradisi fiscali risponde a regole stringenti volte a contrastare la localizzazione artificiosa dei redditi. Tuttavia, i contribuenti possono avvalersi di strumenti per ridurre l’impatto fiscale, come l’interpello o il riconoscimento del credito d’imposta. La corretta gestione di questi aspetti consente di ottimizzare il carico tributario nel rispetto della normativa vigente.

  • Dividendi esteri percepiti da persone fisiche

    Dividendi esteri percepiti da persone fisiche

    La disciplina fiscale italiana regola in modo dettagliato il trattamento dei dividendi esteri percepiti da persone fisiche residenti in Italia. Ecco un’analisi dei principali aspetti normativi e giurisprudenziali legati a questa tematica.

    Ritenuta a titolo di imposta: regime ordinario

    L’articolo 27, comma 4, del DPR 600/73 stabilisce che i dividendi di fonte estera incassati da persone fisiche non esercenti attività d’impresa siano soggetti a una ritenuta a titolo d’imposta del 26%. Tale aliquota si applica sull’intero importo percepito, indipendentemente dalla natura qualificata o meno della partecipazione.

    Si rimanda allo specifico articolo per i dividendi percepiti da società residenti in giurisdizioni a fiscalità privilegiata.

    Base imponibile e “Netto Frontiera”

    Il comma 4-bis dello stesso articolo prevede che la ritenuta sui dividendi eteri debba essere calcolata sul “netto frontiera”, ovvero al netto delle eventuali ritenute operate dallo Stato estero. Questo principio si applica solo se il dividendo è riscosso attraverso un intermediario fiscale residente.

    Dividendi percepiti direttamente: imposta sostitutiva

    Se i dividendi sono percepiti senza l’intervento di un intermediario italiano (ad esempio, su conti esteri), il contribuente è tenuto a dichiarare l’utile nel quadro RM della dichiarazione dei redditi, applicando un’imposta sostitutiva del 26%, come previsto dall’articolo 18 del TUIR. Tuttavia, in questo caso, l’imposta viene calcolata sull’intero importo lordo del dividendo, in deroga alla regola del “netto frontiera”.

    Disparità impositiva e critiche

    L’impostazione dell’Agenzia delle Entrate, che considera il dividendo lordo come base imponibile per l’imposta sostitutiva, ha sollevato diverse critiche in dottrina. In particolare, si evidenzia una potenziale violazione dell’articolo 63 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE), che vieta restrizioni ai movimenti di capitali tra Stati membri.

    Credito per imposte estere

    Il credito per le imposte assolte all’estero non è riconosciuto nei casi in cui i dividendi siano tassati in Italia con ritenuta a titolo d’imposta o imposta sostitutiva. Questo aspetto è stato oggetto di dibattito, soprattutto alla luce della sentenza della Corte di Cassazione n. 25698 del 1° settembre 2022.

    Giurisprudenza e precedenti

    La sentenza Cass. 1.9.2022 n. 25698 ha stabilito che, qualora la tassazione italiana avvenga in modo obbligatorio, le imposte assolte all’estero possano essere detratte ai sensi dell’articolo 165 del TUIR. Questo principio è stato esteso anche ai rapporti disciplinati da trattati fiscali simili a quello tra Italia e Stati Uniti, applicabili a Paesi come Francia, Regno Unito e Germania.

    Per il credito relativo alle imposte estere detratte dall’imposta sostitutiva sui dividendi, si rimanda allo specifico articolo.

    Esempio di Tassazione

    Un esempio pratico aiuta a comprendere meglio la disparità tra i regimi di tassazione. Consideriamo un dividendo lordo di 1.000.000 con una ritenuta estera del 15% (150.000):

    • Percezione diretta: L’imposta sostitutiva del 26% si applica sull’importo lordo, pari a 260.000, portando l’onere fiscale totale a 410.000 e il dividendo netto a 590.000.
    • Percezione tramite intermediario: La ritenuta si applica sul “netto frontiera” di 850.000, risultando in un’imposta di 221.000. L’onere complessivo è di 371.000, con un dividendo netto di 629.000.

    Conclusioni e Implicazioni Fiscali

    La disparità nei regimi di tassazione può comportare oneri aggiuntivi per i contribuenti che percepiscono dividendi direttamente dall’estero. Inoltre, la possibilità di ottenere un rimborso per la differenza d’imposta rimane limitata, come evidenziato dalla giurisprudenza recente.

    In tale contesto, è essenziale valutare attentamente il regime fiscale applicabile e considerare l’assistenza di un consulente per ottimizzare la gestione delle imposte sui dividendi esteri.

  • Società di persone estere e benefici convenzionali

    Società di persone estere e benefici convenzionali

    Secondo quanto affermato nella risposta a interpello n. 17 del 12 gennaio 2022, i dividendi distribuiti da una società di capitali italiana a una società di persone estere (nello specifico una partnership trasparente costituita secondo il diritto inglese) non possono beneficiare direttamente delle agevolazioni previste dalla Convenzione contro le doppie imposizioni tra Italia e Regno Unito.

    Le motivazioni principali risiedono nella natura giuridica della società di persone estere:

    • La partnership, non essendo soggetto passivo d’imposta autonomo, non rientra tra le “persone residenti” definite dal trattato bilaterale.
    • Tuttavia, i singoli partner della partnership possono accedere ai benefici della Convenzione con riferimento alla loro quota di reddito, a condizione che siano soggetti a imposizione nel loro Stato di residenza (liable to tax) e siano i beneficiari effettivi dei dividendi.

    Lo stesso principio è stato ribadito in precedenti interpelli, come il n. 258 del 2021, dove si è chiarito che i dividendi di fonte italiana pagati a un fondo di investimento trasparente svizzero, partecipato da una fondazione svizzera esente da imposta, possono beneficiare delle riduzioni previste dall’art. 10 della Convenzione Italia-Svizzera.

    Riferimenti Normativi e Modello OCSE 2017

    Le regole relative alle partnership estere trovano una codifica specifica nell’art. 1, paragrafo 2, del modello OCSE 2017. Sebbene tale previsione non sia presente nelle Convenzioni firmate dall’Italia (fatti salvi alcuni casi particolari, come nel caso della Convenzione con gli Stati Uniti), essa si basa sui principi delineati nel Rapporto OCSE del 1999 intitolato The Application of the OECD Model Tax Convention to Partnerships. Questo rapporto è stato recepito nelle linee guida del Commentario all’art. 1 del modello OCSE, rendendolo applicabile anche ai rapporti con Stati con cui l’Italia ha stipulato una Convenzione fiscale.

    Principi Fondamentali del Modello OCSE

    • Le Convenzioni si applicano, secondo l’art. 1, paragrafo 1, del modello OCSE, alle “persone” che sono residenti di uno Stato contraente.
    • L’espressione “residente di uno Stato contraente” si riferisce, ai sensi dell’art. 4, paragrafo 1, del modello, alle persone soggette a imposizione nello Stato di residenza (liable to tax).

    Le società di persone e le partnership, pur essendo considerate “persone” secondo il Commentario all’art. 3 (§ 2), non sono considerate “residenti” ai sensi dell’art. 4, paragrafo 1, se sono entità trasparenti, ovvero non soggette a tassazione autonoma ma trasparenti rispetto ai partner.

    Trattamento Fiscale delle Partnership

    Il Commentario al modello OCSE stabilisce le seguenti regole:

    1. Partnership tassate come società di capitali: se la partnership è soggetta a tassazione autonoma, essa può essere considerata “residente di uno Stato contraente” ai fini dell’art. 4. In tal caso, la Convenzione tra lo Stato della fonte del reddito e lo Stato di residenza della partnership si applica direttamente alla partnership stessa.
    2. Partnership trattate come entità trasparenti: se la partnership è considerata trasparente ai fini fiscali, i benefici convenzionali spettano ai singoli partner. Questi ultimi, per usufruire delle agevolazioni, devono essere qualificati come “persone residenti di uno Stato contraente” ai sensi della Convenzione.

    Conclusioni

    La corretta applicazione delle Convenzioni contro le doppie imposizioni in presenza di partnership estere richiede un’analisi approfondita della natura giuridica e fiscale della partnership. Nel caso di entità trasparenti, l’attenzione si sposta sui partner, che devono soddisfare i requisiti di residenza fiscale e di effettiva imposizione per accedere ai benefici convenzionali per i quali si rimanda allo specifico articolo.

  • Dividendi di fonte italiana: applicazione ritenuta convenzionale

    Dividendi di fonte italiana: applicazione ritenuta convenzionale

    Regime Fiscale Ordinario: Applicazione della Ritenuta al 26%

    I dividendi distribuiti da società italiane a soggetti non residenti, inclusi coloro che risiedono in paesi a fiscalità privilegiata, sono assoggettati a una ritenuta fiscale del 26% sull’intero importo del dividendo, a condizione che la partecipazione non sia collegata a una stabile organizzazione situata in Italia.

    Rimborso Parziale della Ritenuta (11/26)

    L’articolo 27, comma 3, del DPR 600/73 prevede che i soggetti non residenti possano richiedere il rimborso di una parte della ritenuta applicata in Italia, fino a un massimo di 11/26. Per ottenere il rimborso, è necessario dimostrare, tramite una certificazione dell’ufficio fiscale estero competente, di aver pagato imposte definitive sugli stessi utili nel Paese di residenza.

    La richiesta di rimborso deve essere presentata al Centro Operativo di Pescara entro 48 mesi dall’applicazione della ritenuta.

    Come indicato nella Circolare Ministeriale 24 giugno 1998, n. 165/E, il contribuente non residente può scegliere il regime più vantaggioso tra il rimborso ordinario (11/26) e quello previsto da eventuali Convenzioni contro le doppie imposizioni.

    Le Convenzioni contro le doppie Imposizioni

    La normativa nazionale deve essere integrata con le regole previste dalle Convenzioni contro la doppia imposizione, basate sul modello OCSE.

    Queste Convenzioni, nella maggior parte dei casi, prevedono:

    • Il diritto dello Stato in cui ha sede la società che distribuisce i dividendi (Italia) di applicare una ritenuta fiscale, generalmente pari al 15%.
    • Un’aliquota ulteriormente ridotta (fino al 5%) per dividendi distribuiti tra società dello stesso gruppo.

    Nel caso di soci persone fisiche non residenti, la ritenuta applicata in uscita è generalmente pari al 15%.

    L’Agenzia delle Entrate, inoltre, nella risposta all’interpello n. 17 del 12 gennaio 2022, ha chiarito che una partnership estera (ad esempio britannica) non può beneficiare direttamente delle agevolazioni previste dalla Convenzione con l’Italia. Tuttavia, i partner della partnership possono accedere ai benefici convenzionali per la loro quota di reddito, a condizione che:

    • Siano soggetti a imposizione nel proprio Paese di residenza.
    • Siano i beneficiari effettivi dei dividendi.

    Come Richiedere l’Applicazione delle Convenzioni o il Rimborso

    Per beneficiare di un’aliquota ridotta prevista da una Convenzione contro la doppia imposizione, oppure per richiedere il rimborso delle ritenute eccedenti, il socio non residente deve agire preventivamente.

    La richiesta si effettua utilizzando il modello A (approvato con il provvedimento dell’Agenzia delle Entrate n. 84404 del 10 luglio 2013), che deve includere:

    • L’attestazione di residenza fiscale rilasciata dall’autorità fiscale del Paese estero.
    • La certificazione dell’autorità fiscale estera relativa alla residenza del beneficiario.

    Il modello deve essere inviato:

    • Al sostituto d’imposta italiano, per ottenere l’applicazione diretta dell’aliquota ridotta.
    • Al Centro Operativo di Pescara, per il rimborso delle ritenute eccedenti già versate.

    Per i residenti in Italia, l’attestato di residenza fiscale italiana viene rilasciato dalla Direzione Provinciale dell’Agenzia delle Entrate utilizzando il modello approvato con lo stesso provvedimento.

    Conclusioni

    La tassazione dei dividendi distribuiti a soggetti non residenti richiede un’attenta gestione della normativa nazionale e delle disposizioni previste dalle Convenzioni internazionali. Presentare in modo tempestivo e completo la documentazione necessaria consente di beneficiare delle aliquote ridotte e di evitare la doppia imposizione sui redditi percepiti.

    Per i dividendi di fonte estera, si rimanda allo specifico articolo.

  • Territorialità delle criptovalute

    Territorialità delle criptovalute

    Il presente contributo fornisce un supporto per identificare la territorialità delle criptovalute ai fini dell’applicazione delle imposte sui redditi e del monitoraggio fiscale.

    Interpello 1.8.2022 n. 397:

    1. Cripto-attività di fonte italiana
      1. Detenute tramite intermediari o prestatori di servizi residenti in Italia.
      1. Archiviate su supporti informatici (es. chiavette USB) localizzati in Italia.
    2. Cripto-attività di fonte estera
      1. Detenute tramite intermediari esteri.
      1. Archiviate su supporti informatici localizzati all’estero.

    Circolare 30/2023 – Specifiche aggiuntive in merito alla territorialità delle criptovalute:

    1. Cripto-attività considerate di fonte italiana:
      1. Le chiavi di accesso sono detenute presso intermediari residenti in Italia.
      1. Esiste uno stabile rapporto tra le cripto-attività e un intermediario residente in Italia.
    2. Cripto-attività detenute direttamente dal contribuente:
      1. Fonte italiana:
        1. Se le chiavi di accesso sono archiviate su supporti informatici (es. chiavette USB) localizzati in Italia.
        1. Presunzione di localizzazione in Italia se il contribuente è residente in Italia, salvo prova contraria.
      1. Fonte estera:
        1. Se il supporto è localizzato all’estero.

    Chiarita quindi l’interpretazione dell’amministrazione finanziaria italiana in merito alla territorialità delle criptovalute, per quanto riguardo i soggetti residenti in Italia, sulla base del “worldwide taxation principle” le plusvalenze e gli altri redditi di cui all’art. 67 co. 1 lett. c-sexies) del TUIR, tra cui le cripto-attività, qualunque sia la fonte, sono assoggettati all’imposta sostitutiva del 26% di cui all’art. 5 co. 2 del DLgs. 461/97. L’aliquota impositiva verrà aumentata al 33% a partire dal 2026.

    Inoltre, ai fini del monitoraggio fiscale, a partire dal 2023, le critpo-attività devono essere indicate nel quadro RW del modello REDDITI anche da parte dei soggetti che, pur non essendo possessori diretti delle cripto-attività, sono titolari effettivi dell’investimento secondo quanto previsto dalla normativa antiriciclaggio.

    Compilazione del quadro RW

    Introduzione normativa (dal 1° gennaio 2023):

    La Legge n. 197/2022 ha modificato l’art. 4 del DL 167/90, introducendo l’obbligo esplicito di monitoraggio fiscale nel quadro RW per tutte le cripto-attività (prima obbligo previsto solo in via interpretativa).

    Disciplina dal 2023

    1. Obblighi generali:
      1. Espressa previsione dell’indicazione delle cripto-attività nel quadro RW per:
        1. Possessori diretti.
        1. Titolari effettivi secondo normativa antiriciclaggio.
    2. Detenzione di cripto-attività:
      1. Obbligo di compilazione del quadro RW indipendentemente da modalità di archiviazione (wallet, conti digitali, ecc.) o localizzazione (Italia o estero).
      1. Un rigo da compilare per ogni portafoglio o sistema di conservazione.
    3. Eccezioni (smarrimento chiavi private):
      1. Non si indicano cripto-attività smarrite o soggette a furto dimostrabile (denuncia all’autorità competente).
      1. Vale anche per piattaforme chiuse o fallite senza accesso al wallet.

    Esonero dagli obblighi di monitoraggio fiscale

    1. Condizioni di esonero:
      1. Attività affidate in gestione/amministrazione a intermediari italiani.
      1. Contratti conclusi tramite intermediari italiani.
      1. Redditi assoggettati a ritenuta o imposta sostitutiva da intermediari.
    2. Eccezioni:
      1. Attività di staking:
        1. Redditi soggetti a ritenuta del 26% se accreditati da società italiana.
        1. Non soggette a obblighi di monitoraggio fiscale.
      1. Wallet custodial presso intermediario italiano:
        1. Se i redditi non sono stati assoggettati a ritenuta, obbligo di compilazione del quadro RW.

    Regime sanzionatorio

    1. Sanzioni per omissioni:
      1. 3%-15% dell’importo non dichiarato.
      1. Paradisi fiscali: Sanzione raddoppiata (6%-30%).
      1. Presentazione quadro RW entro 90 giorni dal termine: Sanzione fissa di 258 euro.
    2. Esclusione del raddoppio sanzioni:
      1. Mancata compilazione del quadro RW non comporta raddoppio per attività estere detenute in Paesi a regime fiscale privilegiato.

    Soggetti non residenti

    Per i soggetti non residenti, in base alla normativa nazionale, le plusvalenze di cui all’art. 67 co. 1 lett. c-sexies) del TUIR, se le cripto-attività sono di fonte italiana secondo i criteri sopra esposti, sono assoggettate all’imposta sostitutiva del 26% di cui all’art. 5 co. 2 del DLgs. 461/97 (33% a partire dal 2026). I non residenti rimangono quindi attratti all’imposizione italiana per i proventi delle cripto-attività.

    Questa disposizione va tuttavia coordinata con le Convenzioni contro le doppie imposizioni.

    Pur se non espressamente specificato, si ritiene che le plusvalenze da cripto-attività rientrino tra i redditi disciplinati dall’art. 13 paragrafo 5 del modello OCSE, quindi tassate nel solo Stato di residenza del cedente; se così è, il non residente avrebbe titolo a non subire l’imposizione italiana, o a richiedere il rimborso, ove l’imposta sia stata prelevata.

  • La residenza fiscale del Trust

    La residenza fiscale del Trust

    In questo contributo si offre una panoramica circa la residenza fiscale del trust, i quali sono assimilati ai soggetti passivi IRES.

    In base a quanto disposto dall’art. 73 co. 3 – 5 del TUIR a seguito delle modifiche introdotte dal DLgs. 209/2023, un trust è considerato fiscalmente residente, qualora, per la maggior parte del periodo di imposta, che equivale a 183 o 184 giorni, abbia in Italia:

    • la sede legale,
    • la sede di direzione effettiva: ovvero il luogo in cui il trustee esercita abitualmente la sua attività strategica e adotta le decisioni di maggior rilievo relative al trust
    • la gestione ordinaria: da intendersi come “il continuo e coordinato compimento degli atti della gestione corrente riguardanti la società o l’ente nel suo complesso” in via principale. 

    Oggetto principale ante modifiche DLgs. 209/2023

    Anteriormente alle modifiche introdotte dal DLgs. 209/2023, quindi fino al 31/12/2023, l’ultimo criterio di individuazione della residenza fiscale del trust era quello dell’oggetto principale, considerato dall’Agenzia delle Entrate come strettamente connesso alla tipologia di trust adottata.

    Quando, ad esempio, l’oggetto del trust era costituito da un patrimonio immobiliare interamente situato in Italia, il medesimo veniva considerato fiscalmente residente nel nostro paese in virtù dell’oggetto sociale. Nel caso in cui, invece, i beni fossero situati in più Paesi si era necessario ricorrere al criterio di prevalenza.

    Residenza fiscale post modiche DLgs. 209/2023

    Tale criterio, superato a partire dal 2024, è sempre valido in caso di accertamenti facenti riferimento alle annualità antecedenti la modifica legislativa.

    L’Art. 73 co. 3 del TUIR, ammessa la prova contraria, prevede poi due casi di attrazione in Italia della residenza fiscale del trust istituito in Stati o territori non appartenenti alla white list (diversi da quelli di cui al DM 4.9.96 e successive modificazioni emanato ai sensi dell’art. 11 co. 4 lett. c) del DLgs. 239/1996:

    • almeno uno dei disponenti ed almeno uno dei beneficiari del trust siano fiscalmente residenti nel territorio dello Stato;
    • successivamente alla loro costituzione, un soggetto residente nel territorio dello Stato effettui in favore del trust un’attribuzione che importi il trasferimento di proprietà di beni immobili o la costituzione o il trasferimento di diritti reali immobiliari, anche per quote, o vincoli di destinazione sugli stessi beni.

    Infine, come chiarito dalla circ. 48/E del 2007, le disposizioni in materia di esterovestizione delle società di cui all’art. 73 co. 5-bis e 5-ter del TUIR sono applicabili anche ai trust, nella misura in cui siano compatibili.

  • Residenza fiscale delle società ed Esterovestizione

    Residenza fiscale delle società ed Esterovestizione

    L’esterovestizione societaria è un fenomeno frequentemente sottovalutato dagli imprenditori, i quali spesso pensano di poter costituire società in giurisdizioni con una fiscalità più vantaggiosa rispetto a quella italiana e di continuare ad amministrarle dal nostro paese.

    Residenza fiscale delle società

    Ai sensi dell’art. 73 co. 3 del TUIR, come modificato a partire dal 2024, si considerano residenti in Italia le società, incluse quelle di persone, e gli enti, come i trust, che hanno nel territorio dello Stato, per la maggior parte del periodo d’imposta, ovvero per almeno 183 o 184 giorni, alternativamente:

    • la sede legale: si identifica con la sede sociale indicata nell’atto costitutivo o nello statuto;
    • la sede di direzione effettiva: per la quale si intende “la continua e coordinata assunzione delle decisioni strategiche riguardanti la società o l’ente nel suo complesso“, mentre “non rilevano le decisioni diverse da quelle aventi contenuto di gestione assunte dai soci né le attività di supervisione e l’eventuale attività di monitoraggio della gestione da parte degli stessi“.
    • la gestione ordinaria in via principale: con cui si intende “il continuo e coordinato compimento degli atti della gestione corrente riguardanti la società o l’ente nel suo complesso“. Sul punto, la circ. Agenzia delle Entrate 20/E del 2024 ha precisato che il criterio di collegamento è “associato al luogo in cui si esplicano il normale funzionamento della società e gli adempimenti che attengono all’ordinaria amministrazione della stessa“, che i fattori di determinazione della gestione ordinaria “variano a seconda della conformazione della struttura imprenditoriale, dell’attività caratteristica, nonché della organizzazione del complesso aziendale della società o dell’ente” e che la gestione “deve riguardare l’impresa nel suo complesso, con l’intento di distinguere lo Stato di residenza della persona giuridica dal luogo di collocamento della stabile organizzazione“.

    Convenzioni contro le doppie imposizioni e doppia residenza

    Nel caso in cui una società sia considerata fiscalmente residente da due diversi Paesi sulla base delle rispettive norme nazionali, si applica l’art. 4 par. 3 del Modello di Convenzione OCSE contro le doppie imposizioni.

    Nel modello risultante a seguito dell’aggiornamento del 2017 viene rimessa la risoluzione dei casi di doppia residenza delle società al comune accordo delle competenti autorità degli Stati contraenti, tenendo conto della sua sede di direzione effettiva, del luogo in cui è costituita o altrimenti costituita e di qualsiasi altro fattore rilevante.

    Tuttavia, la maggior parte delle Convenzioni stipulate dall’Italia (facenti riferimento alla precedente versione del 2014) danno, invece, prevalenza al solo criterio della sede di direzione effettiva.

    Esterovestizione

    L’art. 73 co. 3, 5-bis e 5-ter del TUIR individua una presunzione legale relativa di residenza nel territorio dello Stato dei trust e delle società o enti esterovestiti.

    In particolare, il co. 5-bis dell’art. 73 del contiene la presunzione legale relativa di residenza in Italia delle società ed enti che detengono partecipazioni di controllo in società ed enti, se, in alternativa:

    • sono, a loro volta, controllati, ai sensi dell’art. 2359 del Codice Civile, anche indirettamente, da soggetti residenti nel territorio italiano;
    • ovvero sono amministrati da un consiglio di amministrazione o altro organo di gestione, composto in prevalenza da soggetti residenti in Italia.

    Come indicato nella circ. Agenzia delle Entrate 28/E del 2006, la presunzione di esterovestizione e si applica anche nel caso in cui si interpongano nella catena di controllo più sub holding estere. In merito all’ipotesi legata alla residenza degli amministratori, invece, la circ. Agenzia delle Entrate 11/E del 2007 prevede che:

    • la società sarà considerata fiscalmente residente qualora, per la maggior parte del periodo d’imposta, risulti amministrata da consiglieri residenti in Italia;
    • la residenza degli amministratori della società deve essere stabilita sulla base dei criteri previsti dall’art. 2 del TUIR.

    Il co. 5-bis dell’art. 73 del TUIR, in caso di esterovestizione, prevede l’inversione a carico del contribuente dell’onere della prova.
    Per superare tale presunzione, la società dovrà, pertanto, dimostrare “con argomenti adeguati e convincenti” che “esistono elementi di fatto, situazioni od atti, idonei a dimostrare un concreto radicamento della direzione effettiva nello Stato estero

    Giurisprudenza di merito

    Esempio di giurisprudenza di merito è la Cass. n. 43809 del 2015, in base alla quale non si può considerare esterovestita la controllata estera dotata di una propria struttura, anche se minima, che le consente di svolgere l’attività prevista dallo Statuto sociale. L’accertamento dell’esterovestizione riguarda, infatti, le sole società “schermo” (o “caselle postali”) che si caratterizzano quali costruzioni di puro artificio, costituite nello Stato estero al solo fine di beneficiare di regimi fiscali più favorevoli.
    La C.T. Prov. Como n. 91/1/13 ha stabilito che non sussiste ila fattispecie di esterovestizione ove la società presenti all’estero stabilimenti, uffici, personale dipendente, organismi direttivi, sedi di decisioni strategiche, autonomie operative, profitti, interessi ed attività sovranazionali. La residenza fiscale in Italia di un soggetto estero deve, infatti, basarsi su un’analisi complessiva della situazione di fatto e non deve essere limitata ad una valutazione acritica fondata sulle presunzioni normative.

    Effetti

    Qualora il contribuente non riuscisse a dimostrare che la sede di direzione effettiva della società non è in Italia, i redditi conseguiti dal soggetto “esterovestito” saranno, pertanto, assoggettati a tassazione in Italia.

    Si può portare ad esempio, il caso di molti imprenditori digitali che operano dall’Italia attraverso società costituite off-shore, come le LLC statunitensi, ma la cui gestione ed amministrazione avviene in Italia. In questi casi, qualora oggetto di accertamento, tali società verrebbero considerate fiscalmente residenti nel nostro paese ed ivi assoggettate a tassazione.

  • Trasferimento all’estero della residenza fiscale: controlli

    Trasferimento all’estero della residenza fiscale: controlli

    Nel corso degli ultimi anni, l’Agenzia delle Entrate ha deciso di intensificare gli accertamenti nei confronti di soggetti italiani che hanno realizzato un trasferimento all’estero della residenza fiscale per contrastare il fenomeno di esterovestizione personale (per la quale si rimanda allo specifico articolo).

    Il trasferimento all’estero della residenza fiscale, anche se genuino nelle intenzioni, ignorando la normativa ed i possibili controlli da parte dell’Agenzia delle Entrate, è un errore comune che può comportare gravi conseguenze per il contribuente.

    Gli accertamenti fiscali sugli espatriati italiani sono realizzati attraverso la predisposizione delle c.d. “liste selettive“, in base a quanto previsto dal Provvedimento n. 43999 del Direttore dell’Agenzia delle entrate, pubblicato il 3 marzo 2017.

    Le “liste selettive” costituiscono di elenchi di soggetti espatriati strumentali all’individuazione dei falsi residenti all’estero.

    L’attività di verifica dell’Amministrazione Finanziaria è finalizzata ad individuare gli elementi di fatto che per gli espatriati possono ricondurre in Italia:

    • La residenza, intesa come il luogo in cui la persona ha la dimora abituale;
    • Il domicilio, inteso come il luogo in cui si sviluppano, in via principale, le relazioni personali e familiari della persona;
    • La presenza fisica.

    La creazione di liste selettive AIRE per l’accertamento degli espatriati

    Con l’introduzione dei commi 17-bis e 17-ter all’articolo 83 del D.L. n. 112/2008 il legislatore ha rafforzato i controlli sui soggetti espatriati. Tale normativa impone ai Comuni di trasmettere all’Agenzia delle entrate i dati relativi ai soggetti che hanno richiesto l’iscrizione all’AIRE ai fini della “formazione di liste selettive per i controlli relativi ad attività finanziarie ed investimenti patrimoniali esteri non dichiarati”.

    Iscriversi all’AIRE è un adempimento obbligatorio per i cittadini italiani che si trasferiscono all’estero, ma implica l’eventualità di essere oggetto di un accertamento fiscale. Tali accertamenti sono controlli volti esclusivamente ad individuare trasferimenti esteri simulati, che hanno come unico scopo quello di evitare la tassazione di redditi in Italia.

    Elementi oggetto di monitoraggio nei controlli sulla residenza fiscale

    Gli elementi da monitorare che potrebbero indurre l’Agenzia delle Entrate a riscontrare situazioni sospette circa l’effettività della residenza fiscale estera dei soggetti iscritti all’AIRE sono stati individuati come segue:

    • Residenza dichiarata in uno degli Stati e territori a fiscalità privilegiata, individuati dal Decreto del Ministero delle Finanze 4 maggio 1999; (rilevante ai fini dell’articolo 2, comma 2-bis DPR n. 917/86).
    • Movimenti di capitale da e verso l’estero, trasmessi dagli operatori finanziari nell’ambito del monitoraggio fiscale di cui al D.L. n. 167/1990. In relazione a questo adempimento assumono rilevanza anche gli obblighi di segnalazione delle operazioni transfrontaliere da parte degli istituti bancari;
    • Informazioni relative a patrimoni immobiliari e finanziari detenuti all’estero, trasmesse dalle Amministrazioni fiscali estere nell’ambito di Direttive europee e di accordi di scambio automatico di informazioni;
    • Residenza in Italia del nucleo familiare del contribuente;
    • Atti del registro segnaletici dell’effettiva presenza in Italia del contribuente;
    • Utenze elettriche, idriche, del gas e telefoniche attive;
    • Disponibilità di autoveicoli, motoveicoli e unità da diporto;
    • Titolarità di partita IVA attiva;
    • Rilevanti partecipazioni in società residenti di persone o a ristretta base azionaria;
    • Titolarità di cariche sociali;
    • Versamento di contributi per collaboratori domestici;
    • Informazioni trasmesse dai sostituti d’imposta con la Certificazione unica e con il modello dichiarativo 770;
    • Informazioni relative a operazioni rilevanti ai fini IVA, comunicate ai sensi dell’art. 21, D.L. n. 78/2010 nonché ai sensi del D.Lgs. n. 127/2015.

    Qualsiasi soggetto iscritto all’AIRE potrebbe cadere in una o più delle casistiche riportate nonostante l’effettività della propria residenza all’estero.

    Oltre a questi elementi occorre tenere in considerazione anche le eventuali check list connesse all’applicazione di regimi legati a soggetti che impatriano in Italia e devono verificare anni di residenza fiscale estera. Sul punto, particolarmente interessante è la check list connessa all’applicazione del regime fiscale dei c.d. “neo-residenti” in Italia.

    Di interesse particolare è la condizione di avere a disposizione un immobile ad uso abitativo in Italia per un periodo superiore a 90 giorni all’anno. Sostanzialmente la disponibilità di un immobile è considerata davvero molto rilevante per l’Amministrazione finanziaria.


    Allo scopo di ottenere un’elaborazione delle informazioni disponibili, l’Agenzia delle Entrate ha specificato che le liste dei cittadini richiedenti iscrizione all’AIRE (e coloro che già vi sono iscritti) saranno comunicate, in ogni caso, all’Agenzia delle Entrate direttamente dal Ministero dell’Interno. Questo con cadenza non inferiore al semestre.

    Accordi internazionali

    Da ultimo, ma non meno importante, va rilevato il fatto che le specifiche contenute all’interno del Provvedimento n. 43999 lasciano intendere  la futura implementazione di un bacino di dati ulteriormente alimentato dalle informazioni pervenute nell’ambito degli accordi internazionali relativi allo scambio automatico di informazioni implementati dalle direttive europee DAC 1, DAC 2, DAC5, DA7 e DAC 8 (quest’ultima ancora in attea di essere attuata),e dagli accordi internazionali quali il FACTA ed il Common Reporting Standard.

    Accertamento della residenza degli italiani espatriati: utilizzabilità automatica dei dati

    L’obiettivo delle forme di controllo e monitoraggio delle persone fisiche ha hanno realizzato un trasferimento all’estero della residenza fiscale fin qui descritte è pertanto quello di:

    • Accertare l’effettività della residenza fiscale estera;
    • Verificare che non sussistano elementi tali da ricondurre in Italia la residenza ed il domicilio del soggetto iscritto all’AIRE e – qualora sussistano – accertare i redditi di fonte estera prodotti dal soggetto auto-dichiaratosi non residente.

    Secondo la norma e le indicazioni contenute nel Provvedimento, le liste dovranno guidare l’Amministrazione finanziaria nell’esercizio dei poteri istruttori ad essa attribuiti dall’articolo 32 del DPR n. 600/1973.

    In particolare, il principale strumento di indagine sarà nella prima fase di controllo la trasmissione di inviti e questionari.

    Non sembra invece possibile che l’eventuale identificazione di un soggetto iscritto all’AIRE nelle predette liste possa costituire motivo di notifica automatica di un avviso di accertamento.

  • Residenza fiscale delle persone fisiche ed Esterovestizione

    Residenza fiscale delle persone fisiche ed Esterovestizione

    Il presente contributo tratta della residenza fiscale delle persone fisiche. Ai sensi dell’art. 3 del TUIR, le persone fisiche residenti in Italia sono assoggettate a tassazione per i redditi ovunque prodotti, in Italia e all’estero.

    Al contrario, i soggetti non residenti sono tassati in Italia solo sui  ai redditi prodotti nel territorio dello Stato.

    Ai fini IRPEF, a partire dal 2024, sono considerate residenti in Italia le persone che, per la maggior parte del periodo d’imposta, ovvero 183 o 184 giorni negli anni bisestili, considerando anche la frazioni di giorno, alternativamente:

    • hanno la residenza nel territorio dello Stato ai sensi dell’art. 43 co. 2 c.c. (“la residenza è nel luogo in cui la persona ha la dimora abituale”);
    • hanno il domicilio nel territorio dello Stato (per domicilio, a tal fine si intende per espressa previsione dell’art. 2 co. 2 del TUIR, “il luogo in cui si sviluppano, in via principale, le relazioni personali e familiari della persona”);
    • sono presenti nel territorio dello Stato;
    • salvo prova contraria, risultano iscritte nelle anagrafi della popolazione residente.

    Ad esempio, la persona trasferitasi all’estero, senza aver effettuato l’iscrizione all’AIRE, a partire dal 2024 non potrà più essere considerata fiscalmente residente in Italia se prova di non aver avuto in Italia la residenza civilistica, il domicilio o di non essere stato presente sul territorio nazionale per la maggior parte del periodo di imposta.

    La Circolare 20/E del 2024, fornisce alcuni esempi relativi alla determinazione del domicilio relativo alla residenza fiscale delle persone fisiche:

    • il caso di una persona, iscritta all’AIRE, che lavora all’estero ma mantiene a propria disposizione, a qualunque titolo, una casa in Italia, lasciandovi attive le relative utenze, nella quale continua a rientrare nei fine settimana e dove trascorre alcuni periodi di astensione dal lavoro;
    • il caso di Tizio, avente un’abitazione di proprietà sia in Italia, sia nello Stato estero Beta: nell’abitazione italiana sono presenti i figli, nati da un primo matrimonio, mentre nella casa situata all’estero vive l’attuale coniuge; la persona lavora ordinariamente in Italia, si reca frequentemente in vari Paesi per viaggi professionali nonché nello Stato Beta durante i fine settimana e i periodi di astensione dal lavoro; il periodo di permanenza in Italia è quello più lungo rispetto agli altri Stati, circostanza che induce l’Agenzia a considerare la persona residente in Italia.

    Trasferimento della residenza fiscale delle persone fisiche in paradisi fiscali

    Il DM 4.5.99 indica la lista degli Stati o territori per i quali opera la presunzione relativa di residenza delle persone fisiche, prevista dall’art. 2 co. 2-bis del TUIR. In base a tale norma, infatti, si continuano a considerare fiscalmente residenti in Italia, salvo prova contraria, i cittadini italiani cancellati dalle anagrafi della popolazione residente e trasferiti in Stati di cui al decreto menzionato.

    Esempi di paradisi fiscali sono gli Emirati Arabi, Panama, Hong Kong e Singapore. A partire dal 2024 è stata eliminata dalla lista, invece, la Svizzera.


    La presunzione si applica anche al caso del cittadino italiano che essendo stato a suo tempo iscritto nell’Anagrafe della popolazione residente si trasferisca in un paese a fiscalità privilegiata da un altro paese estero che non è incluso nella lista.

    La norma pone a carico del soggetto che si è trasferito all’estero l’onere di dimostrare la propria residenza estera, onere della prova che, invece, in caso di trasferimento in altre giurisdizioni, sarebbe a carico dell’Agenzia delle Entrate.

    Per dimostrare la genuinità del trasferimento della residenza fiscale all’estero, il contribuente potrebbe utilizzare gli elementi di prova individuati nella C.M. 2.12.97 n. 304/E, ossia:

    • disponibilità di un’abitazione permanente nel Paese estero adeguata ai bisogni abitativi personali e familiari;
    • stipula di contratti di locazione o acquisto di immobili residenziali adeguati ai bisogni abitativi personali e familiari;
    • pagamento di canoni per la fornitura di servizi (acqua, luce, gas, telefono, ecc.) nel Paese estero;
    • assenza di unità immobiliari tenute a disposizione in Italia;
    • svolgimento di un rapporto di lavoro a carattere continuativo o di attività economica nel Paese estero;
    • mantenimento della famiglia all’estero, con iscrizione ed effettiva frequenza dei figli in istituti scolastici o di formazione del Paese estero;
    • accreditamento nel Paese estero di proventi ovunque conseguiti e movimentazione di somme di denaro o altre attività finanziarie;
    • possesso all’estero di beni anche mobiliari;
    • eventuale iscrizione nelle liste elettorali del Paese estero.

    Al contrario, tra gli indici più significativi di residenza fiscale delle persone fisiche individuati dall’Agenzia delle Entrate e ricavabili anche dalla domanda di applicazione dell’agevolazione di cui all’art. 24-bis del TUIR (c.d. agevolazione per i “neo residenti”), ci sono i seguenti:

    • La disponibilità, diretta o per interposta persona di una abitazione in Italia;
    • La presenza della famiglia (marito/moglie e/o figli, ma anche situazioni di convivenza) in Italia;
    • L’accreditamento di propri proventi nel Paese, ovunque conseguiti;
    • Il possesso diretto, o per interposta persona, di beni immobili lasciati a disposizione per oltre 90 giorni. Allo stesso modo è rilevante anche l’acquisto di beni immobili;
    • La presenza di cariche societarie in società residenti in Italia o, comunque, la partecipazione a riunioni d’affari;
    • Il mantenimento di relazioni sociali, l’iscrizione a circoli, club o associazioni di qualsiasi tipo;
    • Il trasferimento di denaro estero su Italia, tale da far presumere uno spostamento di interessi finanziari;
    • L’organizzazione della propria attività e dei propri impegni, anche internazionali, direttamente o attraverso soggetti operanti nel territorio italiano.

    Oltre a questi elementi a catturare l’attenzione dell’Amministrazione finanziaria sono anche i pagamenti effettuati in Italia da parte del soggetto.

    Convenzioni contro le doppie imposizioni

    Qualora un soggetto venga considerato fiscalmente residente in due diverse giurisdizioni ai sensi delle rispettive norme nazionali, si applicano le convenzioni contro le doppie imposizioni.

    L’art. 4 del modello OCSE precisa che il termine “residente di uno Stato contraente” designa “ogni persona che, in virtù della legislazione di detto Stato, è ivi assoggettata ad imposta, a motivo del suo domicilio, della sua residenza, della sede della sua direzione, o di ogni altro criterio di natura analoga”.

    Per le persone fisiche, il modello di OCSE individua alcune regole (le coiddette “tie-breaker rules”) che servono per dirimere il conflitto di residenza che sorge ove un soggetto, in applicazione delle leggi nazionali, risulti residente in entrambi gli Stati contraenti.

    L’applicazione delle “tie-breaker rules” devono essere applicate nel seguente ordine gerarchico:

    • abitazione permanente (1° rule);
    • centro degli interessi vitali (2° rule);
    • luogo di soggiorno abituale (3° rule);
    • nazionalità (4° rule);
    • accordo fra gli Stati (criterio residuale).

    Le Convenzioni contro le doppie imposizioni costituiscono fonti vincolanti per gli Stati contraenti ed hanno efficacia di legge primaria prevalendo sulle norme interne (art. 75 del TUIR e art. 117 Cost.) in quanto norme speciali (Cass. 14240/2021; Cass. n. 1138/2009)

    Esterovestizione personale

    Nel caso in cui venisse constatato il fenomeno dell’esterovestizione personale, i redditi conseguiti all’estero sarebbero considerati imponibili in Italia e, dal 2024, assoggettati all’applicazione di una sanzione del 120% (in caso di omessa dichiarazione dei redditi.

    Verrebbe inoltre applicata una sanzione dal 3% al 15% del valore delle attività patrimoniali e finanziarie di fonte estera non dichiarate nel quadro RW ai fini del monitoraggio fiscale. Le sanzioni sono raddoppiate nel caso in cui le attività siano detenute nei paradisi fiscali menzionati anteriormente.

  • Tax regime for pensioners moving to Italy

    Tax regime for pensioners moving to Italy

    The article 24-ter of the Italian Tax Code established an optional regime, having a duration of 10 years, whereby foreign sourced income derived by individuals entitled to pension payments (pensioners moving to Italy) and who opt to transfer their residence to one of the Municipalities belonging to the territory of the Regions of Sicily, Calabria, Sardinia, Campania, Basilicata, Abruzzo, Molise and Puglia, or to one of the Municipalities included among those affected by seismic events, having a population not exceeding 20,000 inhabitants are subject to a substitute tax at a rate of 7% with respect to all the foreign income derived by the taxpayer (including those with privileged taxation).

    The pensioners moving to Italy must have had the tax residence, for at least 5 years before opting for the regime, in jurisdictions with which administrative cooperation agreements are in force with Italy.

    The pensioner regime, similarly to what happens for the regime of new residents for HNWI and UHNWI established by article 24 bis of the ITC , exonerates the taxpayer from reporting the assets held abroad and from having to pay some specific Italian estate taxes on foreign immovable properties and financial assets (IVIE and IVAFE).

    Taxpayers who have moved to Italy can opt out of applying the 7% substitute tax for income derived from one or more foreign states or territories, subjecting such income to ordinary taxation, with rates up to 43% plus local surcharges. For income produced in the aforementioned foreign States or territories, the ordinary regime applies and the tax credit for income produced abroad is due (the use of this credit is, however, inhibited for income subject to substitute tax).

    In order to evaluate the convenience of this regime, it is necessary to carry out a series of comparative calculations that also take into account the taxation that occurs in the country of the source of the income, for which it is advisable to rely on a local tax advisor.